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 2015  ottobre 24 Sabato calendario

Ritratto di Giovanni Fattori

Capelli neri e folti, ciuffo rigonfio come sollevato dal vento, la spalla destra protesa in avanti e la testa un po’ arretrata, nella mano sinistra una tavolozza e un pennello: la consapevolezza del proprio status di pittore.
È un autoritratto dalla fisionomia leonina che provoca. «Sapete chi sono?», sembra chiedere il giovanotto con gli occhi neri che ci fissa dalla tela azzurrina sbandierandoci sotto il naso, quasi, gli attrezzi del mestiere: sono un pittore che porterà scompiglio, che farà guerra alla guerra, ma non dimenticherà di incantarvi con cronache di povera gente e immagini di una terra di bellezza struggente, aspra e selvaggia come me. Se è vero che il ritratto rimanda insieme sia il rappresentato che chi lo rappresenta (e un po’ anche chi lo guarda) l’autoritratto giovanile di Giovanni Fattori esposto nella prima sala di Palazzo Zabarella ci trasmette l’idea di un artista rivoluzionario e complesso, spavaldo e versatile nel carattere e nella pennellata.
Il quadro è una delle cento sorprese della mostra dal titolo secco e tranchant: Fattori, curata da Francesca Dini, Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca. Un’ulteriore tappa nel progetto, ormai decennale, della Fondazione Bano sulla grande pittura dell’800 italiano. Il Fattori del ritratto ha 29 anni. È il 1854, vive a Firenze dove frequenta l’Accademia e fa gruppo con gli amici rivoluzionari del Caffè Michelangelo, ma torna spesso nella sua Livorno e a Castiglioncello, ospite nella casa-cenacolo dell’amico Diego Martelli.
È qui che qualche anno dopo si aprirà il colorito decennio della «macchia», momento fondamentale nella storia dell’arte italiana, di cui alcuni capolavori di Fattori diventeranno l’emblema. Tra questi, le leggendarie tavolette, composizioni su legno dove la tecnica macchiaiola si rende nelle misure di una miniatura, 12 cm per 35, quelle dell’incantevole La rotonda di Palmieri, concepita nel 1866, mentre riceveva il premio della critica per il dipinto, al contrario, di grandi dimensioni Le macchiaiole, esposto alla Promotrice di Firenze.
Una dimostrazione di come Fattori sapesse alternare realismo monumentale e una pittura a chiazze di colori smaltati, che quasi anticipa i dipinti polinesiani di Gauguin. Nella tavoletta di Palmieri il pittore raffigura la moglie Settimia Vannucci, prossima a morire di tubercolosi, intenta a godersi un tenero sole primaverile.
La rassegna segue un percorso cronologico e tematico insieme, documentando l’abilità del grande toscano a cimentarsi con tematiche e generi diversi. Fattori passava con leggerezza dal ritratto al paesaggio, dalle cronache di vita quotidiana alle scene di guerra.
Nei drammatici capolavori della maturità, come Il muro bianco, icona della mostra, La battaglia della Sforzesca o Lo staffato perso nella bufera sulla strada fangosa, la delusione per lo scacco del Risorgimento che ha tradito gli ideali di giustizia sociale delle nuove generazioni, è resa in maniera potente nei grandi quadri di battaglia dove il soldato si ritrova solo con se stesso di fronte a un muro bianco, a confrontarsi con la morte.
Uno scenario quasi cinematografico a cui si è ispirato qualche genio del cinema. Luchino Visconti, in Senso, costruisce battaglie alla Fattori, e certe immagini con butteri a cavallo in Maremma non le ritroviamo forse nei grandi western di John Ford?
«La grandezza di Fattori – spiega Mazzocca – sta nel suo stile sempre diverso, in equilibrio tra modernità e tradizione, che lo avvicinava ora al genio solitario di Courbet o Cézanne, ora ai maestri del Quattrocento, come Paolo Uccello, ora al genio infernale di Goya». Costante invece fu l’amore per i paesaggi bucolici della Maremma, una terra destinata a entrare nel mito, come la Polinesia di Gauguin e la Provenza di Cézanne.
Le scene contadinesche, la passione per il tema del bifolco e dei bovi bianchi, cari all’amico e poeta Giosuè Carducci, tutto nasce durante un soggiorno del 1867 a Villa Martelli, quando Fattori e l’amico napoletano Giuseppe Abbati si appassionarono al tema dei bianchi in pittura, un colore stupendo che assorbiva luce facendo risparmiare sugli scuri.
E c’è forse qualcosa di più bianco e puro di un pio bove al pascolo nella campagna maremmana?