Corriere della Sera, 24 ottobre 2015
La pasta italiana si vende anche in Tanzania. Restiamo leader mondiali del settore
Da un prodotto tanto antico come la pasta, ci si aspettano poche sorprese. Ma non c’è solo Michelle Obama (che la cucina anche in pentola a pressione) pronta a smentire subito la faccenda. Ci sono anche i dati che dimostrano ad esempio come la pasta, in particolar modo quella italiana, sia sempre pronta a trovare nuovi mercati di sbocco. Come la Tanzania, dove le esportazioni sono cresciute nel primo semestre di quest’anno del 295,8%, l’Arabia Saudita (+40,8%), il Sud Africa (+33,2%) o la Cina dove l’export di pasta italiana ha segnato un aumento del 23,1%.
Con quasi 3,5 milioni di tonnellate prodotte nel 2014, l’Italia è il leader del mercato mondiale, tanto che un piatto di pasta su 4 (24%) nel mondo viene prodotto dai nostri pastifici, sette su dieci di quelli consumati in Europa. E in 15 anni l’export di pasta italiana è cresciuto complessivamente di circa il 50%, +3,6% nel 2014. Oggi esportiamo il 57% della nostra produzione nazionale, circa 2 milioni di tonnellate per un controvalore di 2 miliardi di euro, contro il 54% di 5 anni fa e il 48% del 2000. E quota 60% non è così lontana, anche se già ci sono pastai italiani che esportano oltre il 90% della produzione.
Sono questi alcuni dei dati che verranno presentati in occasione della giornata mondiale della pasta, domani a Expo, dove Ipo (International Pasta Organisation) e Aidepi (l’associazione delle Industrie del Dolce e della Pasta Italiane) hanno convocato oltre 300 tra produttori, scienziati ed economisti internazionali. Per discutere dei principali produttori e mercati di sviluppo della pasta: sono 188 oggi i Paesi importatori di pasta italiana (erano 140 nel 1991, +34%) ma aumentano anche quelli che la producono in loco, come Stati Uniti, secondi sul podio dei produttori seguiti dalla Turchia. «Quando guardiamo la produzione di pasta all’italiana nel mondo, vediamo che cresce e questo per noi è un ottimo segnale – spiega Paolo Barilla, presidente di Aidepi – significa che il prodotto continua ad essere apprezzato e inizia a rientrare nelle abitudini di consumo anche dei nuovi paesi». Nel 2014 la Germania si conferma il principale mercato per gradimento della pasta tricolore (oltre 360mila tonnellate e un’incidenza pari al 18,3% del totale), seguita Regno Unito e Francia, per entrambe 278mila tonnellate e 14,1% del totale. Ma al di fuori dell’Europa, sono gli Usa il primo canale di sbocco, con 151 mila tonnellate e un peso del 7,7% in volume davanti al Giappone (3,8% in volume). Questi “fantastici cinque” sono i mercati più consolidati per la pasta italiana che pesano più della metà (58%) sulla torta del nostro export. Analogamente, il mercato europeo assorbe il 73,7% della domanda (il 66,8% considerando i soli Paesi Ue), davanti alle Americhe (11,2%) e all’Asia (10,9%). «Per ragioni culturali ci siamo sempre rivolti ai mercati di sbocco dell’America e del Canada – aggiunge Barilla – invece in Africa abbiamo visto che ci sono grandi opportunità di sviluppo, idem per l’Asia dove ci si scontra con una cultura completamente diversa dalla nostra ma che apprezza il prodotto indipendentemente dal modo in cui lo cucina». Tipo nel wok (una specie di padella) in Cina, roba da far storcere il naso anche ai meno puristi. «Ma l’Italia deve riuscire a portare le sue tradizioni nel mondo sapendosi innovare – sottolinea Barilla – siamo noi che dobbiamo adattarci per riuscire ad entrare in nuovi mercati».
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