Corriere della Sera, 24 ottobre 2015
Analisi del voto di domani in Argentina
BUENOS AIRES Dei tre ultimi italiani, non c’è di che andare orgogliosi. I militari Viola, Galtieri e Bignone guidarono l’Argentina della giunta più criminale della sua storia, tra il 1976 e il 1983, ed erano tutti discendenti di emigrati. Comunque andranno le Presidenziali di domani, il sangue che scorre nella metà degli argentini avrà modo di riscattarsi in democrazia. Daniel Scioli, Mauricio Macri, Sergio Massa: uno dei tre sarà il successore di Cristina Kirchner. È una coincidenza, ma negli ambienti diplomatici ci si augura che possa servire a riportare le relazioni tra i due Paesi ai livelli di eccellenza di un tempo. È dall’inizio dell’era K – complice il default sui tango bonds che ha colpito decine di migliaia di risparmiatori italiani nel 2003 – che i rapporti si sono molto raffreddati. La visione latinocentrica e anticapitalista di Cristina ha fatto il resto.
L’altra sera, al comizio finale di Buenos Aires, il peronista Daniel Scioli è già stato presentato come «il primo presidente dopo vent’anni a parlare altre lingue» oltre al castigliano. Una è l’italiano, più per passione che per eredità familiare. Scioli, favorito al momento, è pronipote di un molisano ma l’Italia gli è nel cuore per via delle gare con i motoscafi offshore (in una perse un braccio, nel 1989) e per la moglie, Karina Rabolini, ex modella a Milano. Passione per la terra dei suoi avi che poteva costargli cara. Ad agosto quando la provincia di Buenos Aires, della quale è governatore, finì sott’acqua per un’alluvione, Scioli era in vacanza in Italia e fu sommerso dalle critiche. Per evitare il peggio tornò subito, e cancellò altri viaggi all’estero che aveva organizzato per presentarsi come leader cosmopolita, non come Cristina che andava a trovare solo Lula e Castro. Alcuni sondaggi danno ora Scioli ad un passo dalla vittoria al primo turno, che è possibile se raggiunge il 45 per cento dei voti, oppure il 40 con un distacco di almeno dieci punti dal secondo. Se vincerà, al suo fianco arriverà come vicepresidente, un altro italo-argentino, Carlos Zannini, fedelissimo di Cristina.
In caso di ballottaggio il suo rivale sarà assai probabilmente il rampollo della famiglia calabrese più famosa d’Argentina. I Macri (accento finale perso nella traversata) sono da decenni protagonisti delle cronache, dall’economia allo sport, dalla nera ai gossip. Mauricio Macri, già sindaco di Buenos Aires, è figlio dell’imprenditore Franco, nato a Roma ma originario di Polistena, in provincia di Reggio Calabria. Nato costruttore, Franco Macri si arricchì negli anni Ottanta quando ottenne da Fiat e Peugeot la licenza per costruire auto in Argentina. Nell’era Menem, legatissimo al governo, fu il più beneficiato dalle privatizzazioni, ottenne le poste, alcune autostrade e la concessione della raccolta rifiuti della capitale. Re delle feste a Punta del Este, era anche presenza fissa nelle riviste di ricchi e famosi.
Per il figlio Mauricio le ambizioni sono invece sorte dal binomio calcio-politica. Alla Berlusconi, è passato dai successi come presidente del Boca Juniors alla poltrona di sindaco di Buenos Aires. Anche per la non facile eredità del padre (che lo detesta) ha fatto fatica ad affermarsi come politico nazionale, ma alla fine vi è riuscito, con una buona amministrazione e come unica alternativa alla melassa peronista, che in prossimità del voto riesce a moltiplicare correnti e candidati.
Post-peronista è difatti anche il terzo candidato, Sergio Massa. Il suo rapporto con l’Italia è ancora più stretto, suo padre Alfonso è nato a Niscemi in Sicilia e gli ha passato la cittadinanza. Lo scorso anno la vittoria dei suoi uomini nella provincia di Buenos Aires, principale collegio del Paese, aveva fatto immaginare un travaso del tradizionale voto di scambio dal kirchnerismo verso di lui, ex alleato fedele passato all’opposizione. Poi la sua stella si è affievolita. Dei Kirchner, marito e moglie, Massa è stato ministro e capo di gabinetto. Quando Wikileaks rese pubblico un suo dispaccio all’ambasciata Usa («Kirchner è codardo e psicopatico») la rottura divenne inevitabile. Ora Massa lotta per andare al ballottaggio, con lo slogan – plausibile – che per battere il peronista Scioli ci vuole il peronista Massa. E la politica argentina che si ripete eternamente.