Corriere della Sera, 24 ottobre 2015
Analisi del voto di domani in Polonia
DAL NOSTRO INVIATO
VARSAVIA Sei una donna, Beata mia, e vuoi governare contro i diritti delle donne. Sei una donna, cara Ewa, e governi solo perché un uomo ti ha lasciato la poltrona. Se vince Beata, si sappia, ci troveremo in una «repubblica confessionale». Non datele retta: Ewa sta riempiendo la Polonia d’immigrati che portano epidemie.
Col sorriso, con garbo. Ma quante se ne dicono. L’Eva contro Eva del voto polacco è un’Ewa (Kopacz, 58 anni, premier centrista della Piattaforma civica Po) contro Beata (Szydlo, 52, candidata conservatrice del Pis, Diritto e giustizia) che nemmeno Joseph Mankiewicz avrebbe saputo girare meglio. Tra i conservatori che danno alla prima ministra dell’«isterica» e gli altri che accusano l’oppositrice d’essere «una marionetta». Otto candidati, una corsa a due quasi scontata: tutti i sondaggi scommettono sul 30-37% di Beata e sul 23-26 di Ewa. Punti che non permettono di governare da sole e le costringeranno, in ogni caso, ad andare per cespugli. O alleandosi con uno come il rockettaro Pawel Kukiz che s’è inventato un movimento di protesta grillina, è dato terzo partito al 10% e, tiepidamente, corteggia la destra. O con una terza donna: Barbara Nowacka, quarantenne manager e leader della Sinistra Unita, pronta a sostenere Ewa in cambio dell’aborto, della fecondazione in vitro e d’altri diritti possibili subito al di là dei confini, ma non in Polonia.
Sfida rosa, paura nera. Perché «Beb» non è solo l’acronimo delle tre donne sul palco della più forte e popolosa economia dell’Ue orientale. Dietro l’occhialino della pediatra Ewa («non ha carisma», rinfacciano i critici), oltre il cipiglio della grintosa Beata («scimmiotta la Merkel»), nei tweet della bionda Barbara («vuole perfino le adozioni omosessuali!»), c’è lo scontro finale di Polonie sempre più diverse. L’Ovest e il Nord filoeuropei e a disoccupazione zero, l’Est e il profondo Centro-Sud senza lavoro ed euroscettici. L’unica capitale europea mai andata in recessione contro stipendi che sono un terzo di quelli tedeschi. La laicità possibile in un Paese all’80% cattolico, la cristianità minacciata nei diritti fondamentali. Essere polacchi è come respirare, cantava il poeta Tuwim, ma ogni candidata pensa che l’altra sia il cuscino sulla faccia. O peggio, il paravento d’un uomo (più) forte: la premier, del Donald Tusk di cui ha preso il posto dopo la nomina al Consiglio europeo; la Szydlo, del vero padrone della scena, Jaroslaw Kaczynski, il gemello sopravvissuto ai lutti e alle lotte, che manovra nemmeno tanto nell’ombra e dopo otto anni d’opposizione sogna di tornare a riscrivere la Costituzione e di respingere i migranti, agitando il rischio epidemie e imitando l’ungherese Orbán.
Diceva l’ironico Reagan che ci sono tre modi sicuri per rovinarsi in politica: le donne, le donne, le donne. Dicono a Varsavia che ci sono altrettanti metodi per riaccendere una politica in panne: candidare tre donne. «Sono strumenti d’un gioco ancora maschile», non s’illude il politologo Kazimierz Kik. «Sono il segno d’un Paese cambiato», dice l’analista Agata Chelstokowa. La loro ascesa dipende da vari fattori: la legge che ha introdotto le quote rosa (35%) nelle liste elettorali e il pubblico disgusto per lo scandalo intercettazioni del 2014, quando spuntarono politici (uomini) volgari come tronisti mentre portavano signorine in trasferta e pranzavano a ostriche&champagne. «Damy rade!», è stato a quel punto lo slogan delle «Beb»: ce la facciamo. Avanti con la seria Ewa, figlia d’un meccanico, divorziata e già nonna, da ministro della Salute capace di sbugiardare l’Oms sui vaccini della febbre suina. E meglio Beata, nata da minatori, sconosciuta politica del Sud che a primavera è riuscita nel capolavoro di far eleggere Andrzej Duda alla presidenza del Paese: il suo comizio principale l’ha tenuto in una fabbrica abbandonata di Nowa Sod, per dimostrare quanto il miracolo economico abbia «in realtà lasciato indietro troppi polacchi». Domani si vota, choisissez la femme.