il Fatto Quotidiano, 23 ottobre 2015
"The Walking Dead": un successo miliardario nato dalla fantasia di un giovane sceneggiatore di fumetti, che prima di dedicarsi agli zombie s’inventò una serie demenziale in cui il supereroe era il Papa
Gli attori del cast di The Walking Dead hanno paura di morire. Non loro, beninteso: temono che siano i personaggi che interpretano, a venire eliminati dal telefilm più seguito della televisione americana.
“Alcuni non pensano ad altro. La produzione comunica al singolo attore che il suo personaggio morirà con pochissimo anticipo”, ha dichiarato Josh McDermitt, che interpreta lo scienziato Eugene Porter. Sono ansie giustificate: su circa 250 uccisioni viste nel corso delle prime cinque stagioni, almeno una ventina hanno riguardato protagonisti di primo piano. Anche nella sesta stagione, che ha debuttato pochi giorni fa negli Stati Uniti sul network AMC e in quasi contemporanea su Sky (Fox) in versione italiana, nessuno appare al sicuro.
L’unica certezza nel mondo popolato di zombi di The Walking Dead è l’affetto del pubblico. I numeri non mentono: in America il primo episodio della sesta stagione ha raccolto oltre 14 milioni di spettatori, cifra che pur non superando il record stabilito dalla premiere della quinta stagione rimane eccezionale. Soprattutto dopo che lo spin-off/prequel Fear the Walking Dead è risultato il serial più visto nella storia della tv via cavo statunitense. E pensare che sembrava messo in piedi giusto per tenere gli spettatori impegnati durante la pausa estiva.
I dati in Italia sono meno impressionanti, ma gli oltre 200 mila spettatori certificati da Auditel (le rilevazioni della società milanese sono in crisi di credibilità, ma comunque indicative) rappresentano un risultato di tutto rispetto per la tv satellitare a pagamento, considerando il fatto che a quegli spettatori se ne aggiunge un numero imprecisato su Internet.
Quella di The Walking Dead è ancora una storia di successo. Ed è nata dal nulla, come ogni sogno (incubo?) americano che si rispetti. Il protagonista della storia, quella vera, si chiama Robert Kirkman. Nel 2003 Robert è un giovane sceneggiatore di fumetti, lavora in tandem con l’amico disegnatore Tony Moore. Insieme hanno prodotto Battle Pope: una serie supereroica demenziale, con protagonista, come da titolo, il Papa. Non diventa un best-seller, ma è abbastanza per convincere i due autori che il fumetto può diventare lavoro vero. Così propongono una nuova serie all’editore Image Comics, che ai tempi non navigava certo in acque tranquille: il primo concept si chiama Dead Planet, roba decisamente fantascientifica.
L’editore è diffidente, anche perché il ritorno in grande stile degli zombi non è ancora un fenomeno acclarato: 28 giorni dopo, Manuale per sopravvivere agli zombi, L’alba dei morti dementi sono ancora in attesa di esplodere davanti al grande pubblico; solo i videogiochi avevano già compiutamente riscoperto il filone. Kirkman supera i dubbi dell’editore con una riscrittura completa della serie, che trasforma Dead Planet in The Walking Dead, e il primo albetto va in stampa qualche mese dopo. In bianco e nero. Per rendere omaggio all’originale Notte dei morti viventi di Romero o per spendere meno? Più probabile la seconda.
Con i primi numeri arriva il successo, ma soprattutto una telefonata per il giovane autore. La voce all’altro capo del filo è quella di Frank Darabont, regista de Le ali della libertà e Il miglio verde. Vuole trasformare i fumetti in una serie televisiva, che vede la luce nel 2010 grazie all’emittente AMC, la stessa che ha prodotto molti cult degli ultimi anni come Breaking Bad, The Killing e Mad Men. Il successo diventa transmediale: mentre in TV il serial sbriciola ogni record, il numero 100 del fumetto diventa il secondo comic book più venduto negli Stati Uniti del Ventunesimo secolo (dietro allo storico Amazing Spider-Man del gennaio 2009 con in copertina l’Uomo Ragno insieme al neo-presidente Barack Obama), e intanto in Italia la piccola Saldapress di Reggio Emilia piazza nelle edicole e nelle librerie oltre un milione di copie; circa trenta milioni sono invece quelle, digitali, vendute in tutto il mondo dal videogame tratto dalla serie.
Come giustificare un pubblico tanto più vasto rispetto alla nicchia horror? L’ultimo tentativo di spiegare uno dei più imponenti fenomeni mediatici dell’ultimo decennio è quello firmato da Chiara Poli con C’è un solo leader – Anatomia delle serie tv The Walking Dead, saggio di trecento pagine fresco di stampa (edizione Saldapress, ancora) che unisce scrittura da dichiarata fangirl e sorprendente profondità di indagine.
Mette in fila i motivi che rendono questa storia di apocalisse zombi tanto attraente: la capacità di remixare in un linguaggio diverso gli elementi di turbamento, scandalo e provocazione che da sempre nutrono i racconti dell’orrore; l’abilità nell’adattare il materiale di partenza a mezzi di comunicazione diversi; il fascino innato del genere catastrofico, e dell’apocalisse zombi in particolare; la messa in scena di personaggi complessi, che riprendono gli archetipi del Viaggio dell’Eroe e si muovono all’interno di una narrazione corale; la costruzione di una vera e propria mitologia.
Leggendo il libro, appare chiaro quanta ragione abbia da vendere Robert Kirkman – il ragazzo del Kentucky divenuto miliardario grazie ai morti viventi – quando dice che la sua non è solo una storia di zombi.
Chiaro anche che non sia niente di davvero nuovo, per carità. Ma come sempre, è l’esecuzione che conta.