il venerdì, 23 ottobre 2015
In Uzbekistan hanno depennato i corsi di Scienza politica dalle università. In fondo in uno stato autoritario è una materia che non serve
La decisione è coerente, per quanto grottesca: se la scienza politica moderna studia la democrazia, e se in Uzbekistan non c’è competizione per il potere, tanto vale bandire l’insegnamento di questa bizzarra disciplina. L’ultima mossa di Islam Karimov, padre-padrone della Repubblica ex sovietica, consiste in un decreto con cui il Ministero dell’Educazione ha depennato dai programmi universitari la scienza politica, macchiatasi di una colpa enorme, non tenere in dovuta considerazione il «modello uzbeko». Al suo posto, una materia più autarchica: teoria e pratica della costruzione di una società democratica in Uzbekistan.
Il modello uzbeko dimenticato da questa «pseudoscienza occidentale» si può riassumere più o meno così: dal 1991, anno dell’indipendenza da Mosca, sempre lo stesso presidente, giunto al quarto mandato dopo elezioni farsa. Prigioni colme di oppositori politici. Milioni di cittadini, bambini compresi, costretti ogni anno a partecipare alla raccolta del cotone, per riempire i forzieri statali. Una corruzione talmente diffusa da portare il Paese nella top ten dell’annuale classifica di Transparency International.
Ma l’Uzbekistan non è semplicemente il paradigma di uno Stato autoritario, nelle mani di un satrapo. Tutte le organizzazioni per la difesa dei diritti umani parlano di uso sistematico della tortura verso gli avversari del regime, siano essi politici, membri di ong o giornalisti, come Muhammad Bekzhanov, direttore di un quotidiano di opposizione, in carcere da sedici anni. Recentemente lo UN Human Rights Committee ha accusato l’Uzbekistan di torture, compreso uno stupro e la sterilizzazione forzata, verso l’attivista Mutabar Tadzhibaeva, in carcere dal 2005 al 2008. Amnesty International ha stilato l’elenco degli orrori che avvengono nelle carceri uzbeke (asfissia, privazione del sonno e del cibo, elettroshock, violenze sessuali) e ha lanciato un appello a Federica Mogherini perché sia rotto il silenzio su queste pratiche nel Paese centro-asiatico, i cui rapporti economici con Bruxelles sono sempre più stretti.
Certo, questi metodi vengono utilizzati in nome della necessità di «combattere l’estremismo», in particolare quello islamico (l’Uzbekistan è al 90 per cento musulmano sunnita ). Sin dagli inizi degli anni Novanta Karimov ha preso di mira uno dei potenziali ostacoli al suo potere, la galassia musulmana. Molte moschee sono state chiuse. Gli imam indipendenti vengono arrestati. È vietato leggere testi religiosi al di fuori dei luoghi di culto «regolari». I minori non possono entrare in moschea, pena una multa, per i genitori, di 750 dollari. E ora c’è l’Is. L’Islamic Movement of Uzbekistan ha aderito al Califfato. In rete è circolato il video di un ventenne jihadista uzbeko in lacrime prima di compiere un attacco kamikaze in Siria. Un attentato ha colpito l’ambasciata americana di Tashkent: nessuna vittima, ma dal 2004 non si verificava un episodio del genere. Un ottimo argomento per giustificare il dispregio di diritti e libertà.