l’Espresso, 23 ottobre 2015
Per comprare un faro in Italia basta un euro. Poi però bisogna rimetterlo a nuovo
Sono undici e sono a disposizione di chi li vuole. O meglio di chi è in grado di rimetterli a nuovo, valorizzarli e occuparsene, recuperando un pezzo di territorio italiano che altrimenti sarebbe destinato all’oblio: alcuni tra i fari delle coste italiane sono lì, basta andarli a prendere. Unico vincolo richiesto a chi voglia rispondere ai bandi pubblicati in questi giorni sulla Gazzetta Ufficiale e aggiudicarsi le concessioni cinquantennali è quello di presentare un’offerta che sia «economicamente vantaggiosa», ossia un progetto che non si limiti a essere ben strutturato dal punto di vista economico ma che, soprattutto, offra una valida contropartita in termini di valorizzazione del territorio, del lavoro e dell’ambiente.
Non c’è base d’asta: significa che, in linea teorica, se si presenta un progetto particolarmente convincente (la valutazione nella scelta della commissione peserà per il 60 per cento del punteggio totale) dal punto di vista del valore culturale e sociale, si possono anche mettere sul piatto un canone o un investimento relativamente basso. Una ratio che dovrebbe proteggere i fari dai progetti di pura e semplice speculazione e che, almeno in linea teorica, potrebbe rendere vincenti anche proposte d’affitto da pochi euro l’anno. I bandi di concessione fanno parte del piano “Valore Paese”, che mira a recuperare nei prossimi anni un’ampia serie di edifici pubblici ormai in disuso, come caserme, carceri, dogane, stazioni.