Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 23 Venerdì calendario

Dopo l’inchiesta sui diritti tv, Roma e Juventus guidano la fronda contro Infront. Ma molte squadre sono legate a Bogarelli & C. da contratti milionari

Infront Italy è come il grande Milan degli olandesi. Nel giro di pochi anni ha vinto tutto. Dalla prima consulenza alla Lega calcio per la vendita collettiva dei diritti tv (luglio 2008), la società guidata da Marco Bogarelli è diventata il principale operatore del prodotto football in Italia. Di molti club ha in mano gli archivi, il marketing, la corporate hospitality, la cartellonistica degli stadi. Agisce anche da sponsor ed è titolare della produzione e della regia unica delle partite.
Nel suo portafoglio ci sono le squadre di serie A (più le principali della B) tranne la Roma del bostoniano Jim Pallotta, la Juventus di Andrea Agnelli, il Sassuolo del presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, il neopromosso Frosinone di Maurizio Stirpe, numero uno degli industriali del Lazio.
A questa fronda si possono aggiungere alcuni scontenti di peso come il Bologna di Joey Saputo, uno degli uomini più ricchi del Canada, i fratelli Andrea e Diego Della Valle (Fiorentina), che sembrano intenzionati a seguire la Roma nel chiudere i contratti a scadenza, Urbano Cairo del Torino, più gli imprevedibili Aurelio De Laurentiis (Napoli) e Massimo Ferrero (Sampdoria).
Fra i divorzi certi del 2016 c’è quello dalla Lega di B guidata da Andrea Abodi, che nel 1994 fondò Media partners, la futura Infront Italy, insieme a Bogarelli, ad Andrea Locatelli e a Rodolfo Hecht Lucari, scomparso nel 2010.
Il monopolio Infront è minacciato dalla magistratura milanese che ha messo sotto indagine Bogarelli, Locatelli e il loro direttore finanziario Giuseppe Ciocchetti. Nella lista sono finiti i presidenti filo-Infront per eccellenza, Claudio Lotito della Lazio ed Enrico Preziosi del Genoa. Inquisiti anche Gianluca Paparesta, ex arbitro internazionale oggi alla guida del Bari, i dirigenti Mediaset Marco Giordani e Giorgio Giovetti, e il fiscalista Andrea Baroni, arrestato il 9 ottobre.
Alla riunione fra i presidenti della Lega di serie A, lunedì 19 ottobre, lo slogan era: state calmi, non è successo niente. Bogarelli si è manifestato conservando il silenzio stampa, come ha fatto con l’Espresso. Lotito si è portato fuori a pranzo Agnelli, travagliato da una crisi organizzativa segnata dall’uscita del direttore marketing Francesco Calvo. Ma non sarà facile superare la tempesta.
Ci si può chiedere come è stato possibile che Infront Italy, fondata vent’anni fa da quattro amici al bar, abbia tenuto testa a dinastie industriali di peso conquistando contratti, anticipando crediti sulla parola per miliardi di euro, mangiandosi i concorrenti e portando la sua stessa valutazione a una crescita esponenziale ribadita dai passaggi di proprietà: 90 milioni di euro nel 2006, quando la holding svizzera Infront comprò Media partners e le cambiò nome, 600 milioni di euro nel 2011 quando l’intero gruppo Infront fu acquisito dal fondo Bridgepoint, e 1,05 miliardi di euro all’inizio di quest’anno con il passaggio di Infront da Bridgepoint al gruppo Wanda di Wang Jianlin, l’imprenditore più ricco della Cina insieme a Jack Ma.
La risposta è semplice. Aristotele, non quello del film di Lino Banfi, diceva che la natura rifugge dal vuoto. Infront ha occupato una voragine aperta dalla peggiore classe dirigente del calcio europeo, capace di far retrocedere la serie A da torneo di punta nel mondo a un quarto posto continentale minacciato da Francia e Portogallo, ma incapace di vendere in proprio un prodotto esclusivo che i broadcaster devono acquistare per sopravvivere.
Bravi quelli di Infront a portare l’incasso dei diritti da 725 milioni nel 2009 a 1,2 miliardi di oggi e a giocarsi le loro carte, anche se forse non hanno sempre rispettato il regolamento. L’arresto di Baroni, italiano con base operativa alla Tax&finance di Lugano, sarà la chiave per capire quanto della politica di Bogarelli sia passata dai trasferimenti in denaro estero su estero, come accadeva al Milan degli olandesi.
Il metodo operativo sembra quello del comparto Fininvest “very discreet” che furoreggiava negli anni Novanta. Molti degli uomini anche. Oltre a Baroni e al suo socio non indagato Gerardo Segat, che segue la trattativa per la cessione del Milan a Bee Taechaubol, ci sono i ragazzi di Milan channel, la tv tematica dei rossoneri. Dal vivaio del canale sono arrivati Bogarelli e Locatelli. Con loro c’erano i cugini Silva, della dinastia brianzola dei detersivi. Riccardo è diventato il re dei diritti sportivi esteri con la sua Mp&Silva, spinoff di Media partners creata con Andrea Radrizzani nel 2004 e declinata ai quattro angoli del globo (Montecarlo, Dubai, Irlanda, Singapore, etc).
Il presidente milanista Silvio Berlusconi può essere fiero della sua cantera. La partita dei diritti è fondamentale per lui. Anche se ha perso terreno dovunque rispetto ai bei tempi, il calcio deve restare cosa sua. È lì che si gioca il match della vita fra la sua Mediaset e il nemico Sky. È lì che entra in ballo il sistema Infront.
LA BANCA DI BLATTER
L’accordo fra la Trimurti che comanda in Lega (Galliani, Lotito, Preziosi) è sulla falsariga del primus inter pares. Il primus è, ovviamente, l’amministratore delegato anziano del Milan. Galliani ha affidato i rapporti con il palazzo a Lotito, che è anche consigliere in Federcalcio. Indagato per estorsione dalla procura di Napoli che lo accusa di usare i contributi federali come instrumentum regni, il presidente latinista è l’autore della candidatura dell’ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro a grande inquisitore federale al posto di Stefano Palazzi.
Su Bogarelli, Galliani ha esercitato la moral suasion con un messaggio chiaro: della politica mi occupo io, a te il business.
Nel ramo affari, Infront è la generosità eletta a sistema di gestione. Il bilancio consolidato della capogruppo italiana (Infront Italy holding) è quello di una media impresa, se si riguarda ai ricavi (240 milioni di euro nel 2014).
La voce chiave è quella degli impegni: 700 milioni di euro. Il grosso di questa cifra è dato dagli anticipi ai club di serie A “a carattere promo-pubblicitario e legati ai diritti addizionali” e dalle consulenze. È una somma enorme che non contiene, per esempio, gli 80 milioni di euro versati in quattro anni all’Inter di Eric Thohir attraverso la capogruppo svizzera Infront Sport & media di Zugo, che ha rimpiazzato Rcs sport.
Ancora più rilevanti sono i valori messi a sostegno del doppio contratto con la Lega calcio per il triennio 2015-2018 e per il periodo successivo (2018-2021). Nel bilancio del 2013, quando bisognava garantire per sei anni, la cifra era di 7,1 miliardi di euro. Nel 2014 la somma è scesa a 3,7 miliardi di euro, dopo che Sky e Mediaset hanno firmato l’accordo 2015-2018, quello sospettato di turbativa d’asta dalla procura di Milano. Per fare una proporzione, il mercato mondiale dei diritti di tutti gli sport è valutato circa 30 miliardi di euro.
Il Milan di Sacchi rischiava attaccando. Infront non è da meno, a costo di incassare qualche gol. Lo scorso anno il profitto netto consolidato è crollato da circa 9,5 milioni a 1 milione a causa dell’"azzeramento di crediti ritenuti inesigibili”. Se è vero che i club corrono in banca a farsi scontare i contratti Infront appena firmati, è altrettanto vero che molti di loro poi falliscono o retrocedono oppure retrocedono e falliscono, come l’Ascoli. In questi casi, Infront ha buttato i soldi. Nel 2014 19 milioni di euro sono stati cancellati dalla lista dei crediti.
Il finanziatore principale di Infront Italy è Infront svizzera. La casa madre guidata da Philippe Blatter, nipote di Joseph, sovrano uscente della Fifa, non fa sconti. I 53 milioni versati nelle casse della controllata italiana vengono ripagati con interessi passivi al 9 per cento (4,7 milioni di euro).
Questi sono i finanziamenti in chiaro. Poi ci sono quelli criptati, come i 15 milioni di euro che, secondo le ricostruzioni dei magistrati, sono passati da Bogarelli a Preziosi.
CAMPAGNA ACQUISTI
La situazione contabile di Infront sembra destinata a soffrire per l’irrigidimento dei rapporti con Sky, che ha trasformato la freddezza verso l’advisor della Lega in una guerra santa dove Infront e Mediaset sono considerati tutt’uno.
Fino all’anno scorso a Sky Italia capitava di comprare in seconda battuta i diritti d’archivio da Infront. Oggi le porte si sono chiuse e le trasmissioni della tv di Rupert Murdoch mandano solo immagini d’archivio di match dove giocano o la Juve o la Roma, che hanno accordi con il network satellitare.
Nonostante questo, Infront è rimasta fedele all’idea che bisogna spendere per occupare il maggiore spazio di mercato possibile. Solo dopo si pensa a vendere.
Tra luglio e settembre la società di Bogarelli ha concluso l’acquisto di due concorrenti. Prima ha preso la bresciana G Sport della famiglia Giacomini (12,7 milioni di euro bonus incluso) e poi ha rilevato la Sport 09 (3,3 milioni di euro).
G Sport ha un portafoglio di club non di primissimo piano. La stella del gruppo è la Fiorentina (cartellonistica e ospitalità stadio), seguita dal Carpi al primo torneo di serie A e da un gruppo di decadute (Cagliari, Brescia, Livorno, Pescara, Cesena, Catania) che includeva il Parma calcio, fallito e iscritto con una nuova società alla serie D.
La Sport 09 di Natalino Bellati, ex di Publitalia, è invece nata quando Giuliano Adreani ha deciso di chiudere la divisione sportiva della concessionaria Fininvest. Il cliente più prestigioso di Sport 09 è stato il Barcellona, preso in esclusiva per il mercato italiano finché la Liga spagnola non è passata alla contrattazione collettiva.
Una terza microacquisizione risale al 28 gennaio 2015 quando Infront ha acquistato per 180 mila euro la maggioranza di Taschino, una srl costituita dal telecronista sportivo Guido Bagatta sei giorni prima.
I MARGINI ESTERI DI MP&SILVA
Mp&Silva non è stata toccata dall’inchiesta ma è una parte fondamentale del sistema Infront. L’ultimo contratto chiuso da Silva (186 milioni di euro invece dei 117 milioni dell’accordo precedente) ha permesso a Infront di superare i 1040 milioni totali e ha fatto scattare sia il rinnovo automatico dell’advisory fino al 2021 sia il raggiungimento dell’aliquota di bonus variabile più alta per la società di Bogarelli (60 milioni di euro).
Silva si è trasferito da Londra a Miami e ha affidato la sua unica azienda rimasta in Italia, l’agenzia milanese di modelle Mp management, a Elena Guastoni, altra ex di Milan channel. In Florida, Silva gestisce il Cavalli restaurant e il Miami Fc, squadra della seconda divisione del soccer Usa, insieme a due vecchie glorie rossonere come Alessandro Nesta e Paolo Maldini, l’ex capitano in cattivi rapporti con Galliani.
Chi lo ha incontrato allo Sportel di Montecarlo, durante la recente fiera dei contenuti sportivi in tv, lo ha sentito esprimersi con freddezza nei confronti di Bogarelli. Di qualunque natura siano le frizioni fra i due, la cessione dei diritti esteri è fondamentale per Infront Italy ed è un business ad altissimo margine per Mp. In base all’accordo con la Lega, Silva paga in anticipo i diritti esteri ai club di serie A e poi li rivende. Se è bravo, guadagna. Se no, perde.
Silva è molto bravo, forse persino più bravo di Bogarelli. Per quel poco che si può dire dei suoi conti, che non hanno un consolidato e sono caratterizzati da operazioni estero su estero fra le varie consociate, nel 2014 gli azionisti di Mp&Silva ltd di Dublino hanno incassato un dividendo di 45 milioni di euro su 208 milioni di ricavi che sono solo una parte del fatturato totale annunciato dalla società (750 milioni di dollari).
È vero che in questa cifra ci sono anche altri campionati e altri sport, ma i margini restano impressionanti.
A chi vadano questi profitti è difficile dire. Mp&Silva dichiara di essere controllata all’80 per cento da Silva e dal suo socio Radrizzani che però in agosto ha annunciato la cessione di parte della quota per tentare l’avventura con la sua Eleven sports network, operativa in Belgio, Polonia e Singapore. Un terzo socio è Carlo Pozzali, ex dell’agenzia Img, leader mondiale del settore.
Gli avversari di Infront in Lega vorrebbero un rendiconto delle somme pagate dagli utilizzatori finali e lamentano che il confronto con altri tornei è sproporzionato. La Liga spagnola ne vale 600 milioni all’estero, oltre il triplo della serie A. La Premiership, che si è affidata a Img porta in cassa 958 milioni di euro all’anno, più di cinque volte l’Italia.
Sullo scacchiere delle relazioni internazionali Silva, che nella versione inglese del sito Mp scrive di essere iscritto al Partito democratico, conserva un rapporto stretto con i qatarioti e con il loro plenipotenziario nel football, Nasser al Khelaifi. Gli emiri della famiglia al Thani sono lanciati alla conquista dello sport in tv con il network beIn sports, possibile alleato di Mediaset nella guerra a Sky.
L’IRA DI MISTER WANG
In Italia il sistema Lega si sta già preparando alle elezioni del prossimo anno. Secondo molti presidenti di A, chi lascia la strada Infront per la nuova non sa quel che trova. La paura del salto nel buio condiziona la geometria delle alleanze tanto quanto gli sviluppi dell’inchiesta giudiziaria che ha reso improbabile l’elezione di Bogarelli alla guida della Lega nel 2016.
Il manager milanese si gioca la carriera. Finora Wang, il nuovo padrone di Infront, gli ha dato carta bianca ma anche lui deve rendere conto a qualcuno, il partito comunista cinese. Il tycoon venuto dall’esercito maoista non attraversa il suo momento migliore. Il crollo della Borsa di Shanghai gli ha portato minusvalenze miliardarie e il figlio Wang Sicong è finito nella bufera per avere postato la foto del suo husky con due applewatch d’oro bianco allacciati alle zampe. Del caos italiano fa volentieri a meno.