La Gazzetta dello Sport, 23 ottobre 2015
Andiamo a scoprire dove nasce il campione Fabio Aru. Viaggio in Sardegna, incontrando la mamma, i professori e gli amici del vincitore della Vuelta
Sui cieli di Sardegna il maestrale può soffiare anche fortissimo. Al punto di scombinare i piani degli aerei. Devi atterrare a Cagliari e invece finisci a Olbia: e può essere un problema se – è il caso dell’adolescente Fabio Aru, scolaro e ciclista – è domenica sera, sei di ritorno da un weekend di gare sul Continente, al lunedì mattina in aula ci devi proprio andare e abiti a Villacidro. Un’ora scarsa da Cagliari ma (almeno) il triplo da Olbia. «È capitato diverse volte – raccontano, nella casa di Villacidro, Antonella e Alessandro, i genitori di Fabio —. E allora lui faceva un bel tratto di strada sul bus sostitutivo e poi noi lo andavamo a prendere nel cuore della notte. All’altezza di Sardara, dove c’era un distributore di benzina. Fabio era assonnato e stanco, eppure capitava che si ripassasse insieme la lezione perché ci teneva a fare il possibile per ben figurare anche a scuola. Era tenace. Determinatissimo. È sempre stato così. Adesso è chiaro perché in salita non molla mai?».
È in Sardegna che bisogna venire per capire davvero chi è Fabio Aru. Da dove è venuto, dove è adesso – una Vuelta vinta, due volte sul podio al Giro d’Italia, ad appena 25 anni – e fino a dove può arrivare. Bisogna parlare con la sua famiglia. I giovanissimi – neanche cinquant’anni – genitori: Alessandro, ingegnere che in otto ettari di terreno coltiva agrumi, pesche, olive; e Antonella, laureata in scienze della formazione primaria, insegnante di sostegno alla scuola dell’infanzia di Terralba. Oltre naturalmente a Matteo, il fratello minore di Fabio (19 anni), il primo tifoso che ricorda come un computer tutte le date chiave (e non solo) della carriera di Aru. Nei campi di famiglia, a Bangiu, dove Fabio cercava gli asparagi e andava al frantoio per assistere alla macinatura delle olive, avevano costruito assieme con le tavole una piccola casa su un albero, e poi ad altezza del terreno una capanna fatta con le canne. Adesso Matteo racconta aneddoti gustosi: «Fabio pretende tantissimo da se stesso, ma pure dagli altri. Un giorno eravamo a casa e lui mi ha telefonato dalla… stanza a fianco per chiedermi di abbassare le persiane perché era già a letto…».
La prima gara in bici se la ricordano tutti. La maglia, quella della Piscina Irgas. Una marathon di mountain bike, nel mese di maggio del 2005. «Lo avevo accompagnato a Monti Mannu molto presto, non c’era quasi nessuno» ricorda papà Alessandro. «Da lì ho subito capito che non mi sarebbe venuto niente facile – dice adesso Fabio —: fu un calvario, bucai, quasi mi persi, arrivai ore dopo il primo». «Il risultato non era un problema – aggiunge mamma Antonella —. Nello stesso anno, arrivò 18° in una gara di cross country. I partecipanti erano 18. Io gli dissi, bravo figlio mio».
Ma i giorni emotivamente più difficili dovevano ancora arrivare. Quelli del distacco, a inizio luglio 2009, quando Fabio in rapida successione supera l’esame di maturità classica, compie 19 anni e parte per Bergamo, dove avrebbe fatto la trafila Under 23 alla severa scuola di Olivano Locatelli alla Palazzago. E quelli – soprattutto – dell’anno dopo. La famiglia organizza le vacanze per stare vicino a Fabio e si va a Livigno. «Voleva tornare indietro – dice Antonella —, “Mi hai abbandonato”, mi disse. Non è facile per una madre sentirsi dire una cosa così. Forse ho definitivamente superato la cosa solo quando ha vinto la tappa al Giro di Montecampione, lo scorso anno. I pianti ci sono stati negli anni, eccome. E mio figlio mi manca moltissimo. Ma vedo che sta raccogliendo i frutti del suo duro lavoro, sta seguendo la sua strada, e questo mi tranquillizza».
Anche il d.s. dell’Astana, Giuseppe Martinelli, è andato in Sardegna per la festa di Fabio, celebrata dall’Unione Sarda con uno speciale di otto pagine. Dice: «Ho avuto la fortuna di dirigere tanti campioni, ma di Aru mi stupisce la profondità. I ragionamenti che fa sono sottilissimi. Poi chiede, anzi pretende, sempre risposte intelligenti. E non sempre è facile dargliele». Tutti, Fabio stesso, richiamano l’importanza del Liceo Classico nella sua formazione. Giuseppe Marras è stato il suo professore di italiano e latino all’ultimo anno: «Non ha avuto trattamenti privilegiati, al massimo si cercava di evitare di interrogarlo il lunedì. Era regolare negli studi. Del classico, gli è rimasta la logica di capire le situazioni complicate, che è importante anche nel ciclismo. Se era timido? No, lo definirei riservato. E mi stupiva il suo senso di responsabilità. Molti a scuola gettano la spugna, ragazzi che hanno la sufficienza o quasi si ritirano ad aprile. Fabio ha sempre saputo che il Liceo avrebbe dovuto finirlo, altrimenti avrebbe dovuto abbandonare il sogno di diventare un campione». «È un consiglio che mi sento di poter dare – in questo caso è proprio Fabio che parla – a tutti i giovani che si avvicinano al ciclismo, e spero che ce ne siamo sempre di più soprattutto in Sardegna. Non mollate la scuola. Lo sport non è solo gambe e fisico. La testa gioca e giocherà un ruolo sempre più importante. Devi ragionare. E la scuola ti aiuta tantissimo».
Testa. Rinunce. Sacrifici. Il filo conduttore è proprio questo. A un Giro del Belvedere, gara dilettantistica che si corre nei giorni di Pasqua, Aru arrivò quinto. C’era un ovetto Kinder per tutti, ma non lo mangiò. E alla gita scolastica in Spagna, qualche anno prima, dovette rinunciare per concomitanti impegni ciclistici. Pare che qualcuno – siamo però nell’ambito della leggenda metropolitana – avesse sussurrato: «Chissà poi la Spagna quando la rivede». Fosse vero, ripensare adesso alla cartolina di una domenica di metà settembre mandata da Cibeles, il cuore di Madrid, con Fabio sul gradino più alto della Vuelta farebbe sorridere. A proposito: quel giorno Aru dovette sfidare i rigidi dettami del cerimoniale per portare sul podio la bandiera con i quattro mori. Un gesto non banale che forse non è stato sottolineato e capito abbastanza. È la bandiera di Sardegna. La sua isola. «Fabio impazzisce per il mare – ricorda mamma Antonella —. Si andava nella zona di Oristano. Is Arutas, soprattutto. E amava pescare». Adesso spiana le montagne. Ma prima di essere un campione resta un sardo. Fiero e orgoglioso, proprio come la sua isola meravigliosa.