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 2015  ottobre 23 Venerdì calendario

Bocelli canta il cinema e duetta con la moglie Veronica Berti

C’è nel nuovo album Cinema un piccolo manifesto di felicità personale. La swingante Cheek to Cheek è un segnale delle good vibrations che regnano in casa Bocelli, qui sul lungomare della quieta cittadina toscana. Scritta di suo pugno in versione italiana, è un duetto con la voce graziosa e frizzante della moglie Veronica Berti. Spezza con leggerezza una sfilza di brani maestosi che hanno fatto, appunto, la storia del cinema. Mentre racconta la genesi del duetto, il tenore si abbraccia Veronica: «Quando senti la grazia di questa voce, cosa puoi fare se non innamorarti?».
Vitalità, e la consapevolezza di un buon lavoro, accompagnano l’inizio dell’avventura di Cinema, che vivrà il suo primo momento pubblico agli Mtv Ema domenica a Milano, con un duetto con Tory Kelly e altre sorprese. «Perché il cinema? È difficile trovare canzoni belle, mentre la musica dei film è fuori dagli schemi dei brani descrittivi, è senza regole, è più ispirata e contagia, è la cornice di un quadro bello che è il film», teorizza Bocelli.
Con la sua storica etichetta Sugar, l’album è distribuito in 75 Paesi. Il suo orizzonte è il mondo. Per questo è stato concepito, cantato in cinque lingue (siciliano compreso, per Brucia la terra dal Padrino), composto di 16 evergreen tratti dalla crème de la crème del cinema internazionale che tutti conosciamo: da Rota a Morricone autore di E più ti penso, testo italiano di Mogol/Renis e in duetto con Ariana Grande (come un entrare soft nel mondo dei ragazzi: «Lei è l’idolo dei miei figli»).
Da Maria («Registrata la prima volta dallo stesso Bernstein con Carreras, e questo è il mood») a The Music of the Night di Lloyd Webber, per la quale Bocelli sorride ricordando quando a Wembley doveva cantarla in memoria di Lady Diana: «Ma non sapevo le parole, non posso usare il gobbo e Veronica doveva suggerirmele all’auricolare: non la lasciavano salire al mixer e rischiai di non cantare».
C’è anche un tango caliente dell’immortale Gardel, Por una cabeza, da Profumo di donna, e sguardi ai tenori cinematografici d’antan: «Be my love fu cantata da Mario Lanza, induce al tenorismo un po’ becero, spero non in questo caso». E il Piovani di Sorridi amore vai testo di Benigni, con il Coro delle voci bianche della Cappella Sistina. Un’antologia di sentimenti universali conosciuti e condivisi, segreto per rimanere a lungo nelle orecchie del pubblico, con alcune notevoli prove d’artista come Moon River e Ol’ Man River, dove ci scappa il do di petto: «È stato il pezzo più difficile», confessa Bocelli.
La sua voce risuona subito più potente e sicura, se glielo si dice il tenore, 57 anni, spiega: «Ho sempre studiato una nota ogni 2/3 anni. Trent’anni di lavoro. È facile parlare di umiltà senza mettersi in discussione. Io l’ho fatto».
Mai era stato raggiunto nei suoi lavori un livello complessivo così alto. Vigore vocale, precisione interpretativa, suoni caldi e tecnologicamente inappuntabili, con un’orchestra di 85 selezionatissimi elementi che ha suonato ad Abbey Road, direttore Gavin Greenway, con qualche aggiunta pop, come il pianoforte di David Foster: tra l’altro uno dei tre produttori dell’opera, con Humberto Gatica e il nostro Tony Renis, che si è dedicato anima e corpo al progetto ed ora a casa di Andrea è entusiasta come mai in vita sua.
Cinema volerà per il mondo, i tre ragazzi del Volo ci stanno lavorando. Ha qualche consiglio per loro? «Gli invidio che sono in tre mentre io debbo fare tutto da solo – sorride Andrea -. Il consiglio è uno solo: facciano come me, debbono studiare tanto».