Il Sole 24 Ore, 22 ottobre 2015
Il trionfale debutto del Cavallino a Wall Street è l’ultimo passo di un percorso iniziato tanti anni fa da Enzo Ferrari, che sancì il passaggio della casa automobilistica «da ditta di Ferrari ad azienda che sopravvive al suo fondatore»
In questi giorni la Ferrari sta facendo un nuovo passo della sua prestigiosa storia diventando un’azienda quotata alla borsa di New York; questo è frutto di un altro passo che tanti anni fa fece il suo fondatore quando decise di dare continuità alla sua ditta, come ci racconta Turrini, suo biografo, diceva: «non voglio fare la fine dei Bugatti».
Fu così che, verso la fine degli anni sessanta, iniziarono gli incontri con gli emissari della Ford. Furono mesi di verifiche industriali, due diligence, contratti, lettere di intenti, business plan; e alla fine un manager della Ford si presentò con un’offerta astronomica. Non se ne fece nulla: nel lungo contratto c’era scritto chiaramente che Ferrari avrebbe avuto libertà di gestione della squadra corse, ma nelle postille si ponevano alcuni vincoli quali la necessità di sottoporre budget per approvazione, condividere cambiamenti di spesa, valutare insieme gli investimenti.
A quel punto Enzo Ferrari fece un passo importante per la sua ditta: decise di chiedere un incontro a Giovanni Agnelli, che si rese immediatamente disponibile. In tre righe Ferrari in persona ci racconta come andò: «Dissi il mio ieri, il mio oggi, il domani della fabbrica e potei esporre, come non mai, fino in fondo il mio pensiero. Poi parlò Agnelli. Ne avvertivo la forza dell’uomo moderno, del politico e diplomatico negli affari, del vivace e sintetico osservatore...». Turrini ci racconta il resto: «Una stretta di mano sancì l’ingresso del Cavallino nell’orbita Fiat. L’Avvocato, che non aveva ammesso i suoi più stretti collaboratori all’incontro, li fece entrare soltanto alla fine. Forse per prevenire i mugugni dei manager che consideravano eccessive le concessioni accordate all’uomo di Maranello, Agnelli tenne per sé l’ultima parola: “mi pare, caro Ferrari, che forse questo accordo si poteva raggiungere anche prima”. Poi girò lo sguardo sui direttori generali. E aggiunse: “signori, abbiamo perso del tempo. Vi invito a riguadagnarlo”». Ecco come si fanno gli accordi tra imprenditori; se solo Henry Ford II avesse invitato Ferrari a Detroit invece di usare processi burocratici, la storia sarebbe stata diversa.
Il passaggio da ditta di Ferrari ad azienda che sopravvive al suo fondatore sta tutto in quel «dissi il mio ieri, il mio oggi, il domani della fabbrica».
Oggi è quel domani. Ci si è potuti arrivare perché l’essenza imprenditoriale che Enzo ha impresso alla sua ditta ? rimasta immutata. I processi imprenditoriali che Enzo ha impresso nella sua ditta sono: partire dalle idee di un piccolo gruppo per arrivare all’auto da corsa e poi alla granturismo, essere sempre all’avanguardia nella tecnologia delle competizioni, comunicare lo spirito Ferrari con le vittorie, agitare gli uomini. Quando Enzo lascio l’AlfaRomeo disse del suo amministratore delegato: «riteneva che la macchina da corsa dovesse costruire … il miglior prodotto di tutti i reparti di una grande fabbrica. Io sostenevo invece che la macchina da corsa doveva essere il compendio del lavoro di una piccola officina ausiliaria, dotata di ottimi mezzi e di un suo particolare e duttile stato maggiore, per tradurre rapidamente in una meccanica viva idee e progetti dei tecnici». Ecco perché Ferrari è la Scuderia Ferrari.
Il Drake spiega anche perché i volumi di produzione della Ferrari devono restare piccoli
Il progresso tecnico può essere rallentato dalla produzione di massa: capisco anch’io che una grande azienda non può bloccare una catena di montaggio per inserire il suggerimento tecnico scaturito da una esperienza di gara… Il lavoro più duro… consiste nel ricavare dalle gare automobilistiche tutte quelle indicazioni, tutti quegli insegnamenti che possono venire utilmente e velocemente trasferiti nella produzione di serie. File di esperti di marketing ci hanno spiegato che il segreto del brand Ferrari sta nell’esclusività e questo dibattito sarà rivitalizzato dagli analisti finanziari presi in questi giorni a discutere quale sia il settore di appartenenza dell’azienda. Enzo è stato chiaro: la Ferrari con la produzione di massa semplicemente non sarebbe la Ferrari perché il lunedì non potrebbe applicare in fabbrica gli insegnamenti della gara della domenica; il resto dall’esclusività al settore di appartenenza sono solo conseguenze.
Ancora Enzo ha spiegato in modo magistrale la strategia di marketing della sua ditta: «Io sono quello che fa le corse, i miei clienti basta che sappiano questo». Qualcuno potrebbe puntualizzare che le corse bisogna vincerle perché i clienti restino tali, ma quel qualcuno non ha capito nulla di Ferrari. Per lui “fare” le corse non significava partecipare.
Ogni imprenditore trasmette alla sua ditta il Dna con cui questa ha successo e come Enzo Ferrari deve, per darle continuità, trovare il modo di definire il domani della fabbrica.
Credo che Ferrari oggi sarebbe contento del domani della sua fabbrica e di come il suo Dna sia stato preservato ed evoluto. Lui definiva il suo ruolo in fabbrica: agitatore di uomini, sembra che dalle parti di Maranello sia arrivato qualcuno che anche in questo tiene vivo il Dna del fondatore.