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 2015  ottobre 22 Giovedì calendario

Nuovo canone Rai a rischio illegittimità. Se la Rai, come ha annunciato, lancerà anche canali a pagamento, come potrà ancora parlare di "servizio pubblico"?

Da tassa odiosa a prepotente, ma sulla via per divenire illegittima. Il canone Rai è destinato a creare molti problemi, anche perché maneggiato con una notevole brama d’incasso, ma con scarsa attenzione agli effetti di scasso.
Ottenuto l’addebito nelle bollette elettriche, sul quale torno subito, la Rai ha portato a casa un altro successo storico: far pagare la tassa anche a chi ha computer, tablet o smart phone. A chiunque abbia una connessione internet. Ciò si fonda su un presupposto anti giuridico e anti tecnologico, ovvero sul principio, risalente alla metà del secolo scorso, secondo cui si dovesse pagare il canone (allora «abbonamento tv») se in possesso di un televisore o un apparecchio «atto o adattabile» alla ricezione del segnale televisivo. Allora, però, altro non erano che schermi collegati a sintonizzatori, ovvero pur sempre televisioni. Oggi è atto o adattabile praticamente qualsiasi terminale, quindi la finalità e il significato di quella norma vengono completamente distorti, pur di far cassa.
Ma non è finita, perché per utilizzare quei terminali già pago una tassa governativa, legata all’abbonamento telefonico. Tanto è distorsiva quella tassa che sono sorte offerte tariffarie allo scopo di aggirarla. Offerte pubbliche e del tutto legittime. Ora, con l’innovazione anti-innovativa, chi usa l’abbonamento pagherà due tasse governative per usare il proprio terminale.
Non bastassero questi profili d’illegittimità i vertici della Rai ce ne forniscono uno ulteriore, proponendosi di predisporre canali a pagamento. Nessuno è in grado di sapere e spiegare cosa sia il «servizio pubblico». Nessuno può azzardarsi a spiegare cosa c’entri cotale alato concetto con la scoperta di quale sia il pacco fortunato. Ma una cosa è certa, almeno fin quando il vocabolario e il diritto non sono divenuti buoni solo per il caminetto: il servizio pubblico ha da essere universale, ovvero accessibile a tutti. L’animale misto, la Rai di Stato che è anche televisione commerciale, s’avvia a essere anche animale illegale.
Prima che lo si riconosca, comunque, si dovranno fare i conti con l’elettrizzante caos indotto dall’inserimento in bolletta. Se credo di non dovere pagare, sarò io cittadino a dovere autocertificare il fatto, per giunta sotto la minaccia penale d’essere perseguito.
Se marito e moglie, per dirne una, sono residenti in due case diverse dovranno assumersi la responsabilità penale di affermare il loro essere una sola famiglia, quindi di dovere un solo canone. Trasmetteranno l’autocertificazione alla compagnia che fornisce loro l’energia elettrica, che magari non è la stessa per le due abitazioni. Quella non avrà alcun sistema di riscontro, sicché trasmetterà la cosa al fisco. In attesa della denuncia penale, per risolvere la quale si possono mettere in conto una decina di anni, si potrà essere multati per il mancato pagamento.
Siccome è sembrato che 500 euro di multa, per una tassa di 100, potevano essere troppi, pare ripieghino sulla formula: da due a sei volte. Vuol dire che siccome 500 erano troppi potrebbero essere 600.
In Rai già si leccano i baffi per i maggiori introiti. Non vorrei guastare la festa: già quest’anno il governo ha trattenuto per sé una parte degli introiti e farà la stessa cosa anche in futuro, tanto più che una volta estesa ben oltre la televisione, la tassa diventa priva di scopo specifico e con valenza generale, quindi non dovuta alla Rai. Di più: si potrà aumentare o diminuire il gettito a seconda che chi ha la cassa in mano sia soddisfatto o meno. Un vero canone perverso.
E questi sono gli effetti di una classe dirigente formatasi in tv. Ci vuole del genio per stabilire che siccome l’Italia non è abbastanza digitale è bene cominciare tassando di più il digitale. In ciò si dimostra che anche i più giovani hanno assorbito la più lontana tradizione televisiva: non lasciano, raddoppiano.