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 2015  ottobre 22 Giovedì calendario

Palestinesi e coloni israeliani, la convivenza è possibile. Viaggio a Ma’ale Adummim, una delle più grandi colonie della Cisgiordania, dove arabi ed ebrei vivono e lavorano insieme da decenni

Le misure di sicurezza, volute dal governo di Benjamin Netanyahu, per arginare l’ondata di violenza a Gerusalemme, sembrano funzionare. La Città Santa, militarizzata e blindata, non è più il principale obbiettivo degli attentatori palestinesi. Lo scontro si è spostato sulle colonie israeliane in Cisgiordania. All’alba di ieri una 15enne palestinese ha tentato di entrare in un insediamento nelle vicinanze di Nablus. L’esercito israeliano (Idf) le ha sparato, prima che riuscisse a superare le reti di protezione. Secondo la ricostruzione delle autorità, la minorenne aveva un coltello.
“Non giro armato, non vado in sinagoga e non voto l’ultradestra”. Itay lavora a Gerusalemme, ma appena sposato, si è trasferito a Ma’ale Adummim, una delle più grandi colonie in Cisgiordania. “Siamo vicini a Gerusalemme – continua Itay – ma gli affitti sono più ragionevoli. In città non posso permettermi un appartamento decente”.
L’insediamento è considerato un dormitorio per la classe media gerosolomitana. La sua posizione lo rende strategico, si trova sulla principale via di comunicazione tra nord e sud della Cisgiordania.
Le reti con filo spinato, che corrono lungo il perimetro di Ma’ale Adummim, si aprono sul grande cancello giallo. Un addetto alla sicurezza controlla le auto all’ingresso. I palestinesi, diverse centinaia, che lavorano nella colonia devono lasciano qui la propria carta d’identità. “Possiamo vivere assieme, questo è un esempio – racconta Uri Goldman, pensionato e da 10 anni residente nella colonia – ma ci vogliono regole e punizioni per chi non le rispetta. Da settimane siamo in allarme”.
Qui non vivono i fanatici con bibbia in una mano e pistola nell’altra. Degli oltre 720 mila coloni che abitano nei Territori occupati solo una minoranza è spinta dalla convinzione politica. Molti scelgono di trasferirsi attirati da sgravi fiscali e minor costo della vita. Ritengono troppo severo il giudizio della Comunità internazionale che considera illegali le loro case, costruite su terra palestinese. “Ci sono dei pazzi, degli estremisti, che abitano in delle roulotte in mezzo al deserto – spiega Yael, studentessa dell’università ebraica – quello è contro la legge israeliana, ma io non faccio null’altro che vivere in una città che ha già vent’anni”.
Per collegare gli insediamenti, Israele ha costruito un’efficiente rete stradale, gran parte su terre espropriate ai palestinesi. Queste strade sono il teatro di molti degli attacchi con il coltello. L’ultimo ieri pomeriggio, sulla statale che da Ma’ale Adummim va a nord, dove un palestinese, ucciso dall’Idf, ha ferito gravemente una soldatessa.
A pochi chilometri c’è Pesagot, un insediamento rinomato per la produzione di vino. Le terre coltivate crescono di anno in anno, sono acri presi ai palestinesi ai quali l’esercito vieta l’accesso, perché in un’area troppo vicina alla colonia. Da 11 anni Joshua, residente in Tennessee, arriva a Pesagot per la vendemmia. “Quest’anno per la prima volta abbiamo delle guardie armate. Hanno tirato pietre alla nostra auto, è chiaro che non ci vogliono qui”.
Il governo Netanyahu accelera la crescita delle colonie: condono di insediamenti non autorizzati e via libera a nuove abitazioni in quelli esistenti. È la strategia del fatto compiuto, alla quale i palestinesi sembrano sapere rispondere solo con attentati o razzi sparati da Gaza. Ieri uno di questi è stato lanciato verso il deserto del Negev. Nessun danno o ferito, ma solo altra paura, che in questa terra genera unicamente violenza. Sempre ieri l’Unesco ha approvato una risoluzione che condanna la gestione israeliana della spianata delle moschee, al centro delle polemiche degli ultimi giorni. Ovviamente il governo Netanyahu ha condannato la condanna dell’Unesco bollandola come “vergognosa”. Condanne per tutti, soluzioni per nessuno.