Corriere della Sera, 22 ottobre 2015
Quant’è difficile pagare il canone Rai se sulla rete ammiraglia ci sono le carrambate di Albano Carrisi e Paola Perego
Perché il canone Rai, come giustamente si chiedeva Pierluigi Battista, è vissuto come un odioso balzello? Perché appare come «una tassa iniqua e ingiustificata»? Lasciando perdere le questioni di fondo (cosa significa oggi servizio pubblico) una prima risposta la troviamo nei programmi che la Rai trasmette. Specie su Raiuno, la cosiddetta ammiraglia.
È una sensazione che ho provato martedì sera guardando «Così lontani, così vicini» condotto da Albano Carrisi e Paola Perego. È una sensazione fortissima, anche quando la domenica pomeriggio mi capita di vedere «Domenica in» firmata da Maurizio Costanzo (con i bravi giovani che ci sono, la Rai doveva affidare una pensione dorata a Costanzo?) e condotto da Paola Perego e Salvo Sottile (scuderia Lucio Presta).
Oggi il concetto di servizio pubblico non dovrebbe basarsi solo sull’offerta editoriale. Se deve ancora esistere, è certamente qualcosa di più profondo. Qualcosa che faccia provare allo spettatore un senso di appartenenza, una condivisione più vasta, un nuovo spirito di servizio: la Rai è un patrimonio degli italiani, non di quattro o cinque signorotti spadroneggianti. Se scorriamo i nomi degli ultimi direttori generali, scopriamo che nessuno di loro si è mai seriamente interrogato sulla funzione del servizio pubblico, al di là di dichiarazioni tanto formali quanto vacue. Per dire: quando è stato necessario fare i grandi salti tecnologici del digitale, come mai la Rai è rimasta indietro?
«Così lontani, così vicini» è un format olandese («Find My Family»), ma è anche il calco di tutte le carrambate che la nostra tv ha prodotto: le storie sono ben raccontate, ben montate, ma perché i due conduttori sono così modesti? Non basta assecondare i gusti del pubblico per esigere un canone. Bisogna inventarsi un salto etico e spezzare la ricerca ansiosa della mediocrità che caratterizza molti programmi della Rai.