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 2015  ottobre 22 Giovedì calendario

Putin invita Assad a Mosca per trovare un’intesa di transizione per la Siria. Ma i sauditi e i turchi non sono d’accordo

L’obiettivo numero uno è stato raggiunto: con l’invito di Bashar Assad al Cremlino, Vladimir Putin si è posto al centro del quadro politico mediorientale e non solo di quello siriano. Dopo aver rassicurato l’interlocutore sul fatto che le incursioni dei suoi aerei proseguiranno, il presidente russo ha chiamato i rappresentanti dei Paesi «forti» della regione. Ufficialmente per informarli dei colloqui col presidente siriano che non lasciava il suo Paese dal 2011. 
In realtà per accreditarsi come Grande Mediatore, l’unico in grado di fare uscire tutti dal pantano siriano. E voci di corridoio già indicano quale potrebbe essere la soluzione: una transizione di sei mesi, magari con un governo provvisorio, per arrivare poi a elezioni politiche e presidenziali. 
Ma se la formula in sé potrebbe andare bene a molti, compresi gli americani, è quello che c’è sotto (Assad sì o Assad no) che determinerà come le cose andranno veramente. 
Il presidente siriano e Putin hanno compiuto anche una ricognizione della situazione sul terreno. I russi hanno eseguito fino ad oggi circa 700 missioni e hanno riportato all’offensiva l’esercito governativo che ora si muove con l’appoggio terrestre degli Hezbollah e dell’Iran. Gli aerei russi colpiscono terroristi islamici e, in gran parte, oppositori del regime. Quegli stessi che da cinque anni combattono una guerra civile che ha provocato 250 mila morti e che è iniziata con la repressione del regime contro manifestazioni pacifiche. 
Putin si rende conto che Damasco, anche con il suo aiuto, non è in grado di riconquistare tutto il Paese e quindi punta al rafforzamento di un’area che includa la capitale, il porto di Tartus, la base di Latakia e Homs. 
Ma questa strategia porta allo scontro con le altre parti che si vorrebbero coinvolgere nella trattativa per la «soluzione politica» di cui hanno parlato Assad e Putin nel loro lungo colloquio. Ciò è emerso chiaramente dalle telefonate di Putin con i dirigenti di Arabia Saudita, Giordania, Egitto e Turchia. 
Proprio da Ankara è arrivata la prima doccia fredda per il signore del Cremlino: il capo del governo Ahmet Davutoglu ha ripetuto che per il suo Paese in Siria non c’è alcuna «transizione con Assad, ma solo una transizione per il dopo-Assad». Davutoglu ha poi aggiunto che il presidente siriano avrebbe fatto bene «a rimanere a Mosca», in esilio come altri governanti rovesciati. 
Di questi fatti discuteranno domani a Vienna anche Lavrov e Kerry, ma non ci si aspetta che i due ministri degli Esteri possano trovarsi in sintonia. 
Tutti parlano di transizione politica e di lungo processo con il coinvolgimento di tutte le parti in causa. Ma ognuno intende la cosa a modo suo. Il timore che gli Stati Uniti condividono con la Turchia è che Putin, inebriato dal successo di oggi, pensi a un Assad rinato dalle proprie ceneri che venga nuovamente incoronato Rais in elezioni presidenziali «democratiche».