Il Messaggero, 21 ottobre 2015
Lo sceicco Yusef, il leader politico di Hamas è stato arrestato ieri dall’esercito israeliano
È contro una possibile guerra di religione che Nazioni Unite e Stati Uniti cominciano a muoversi. La diplomazia internazionale sa bene che il nodo cruciale in Israele-Palestina resta l’occupazione e la “non pace” anche se sono state le provocazioni di alcuni esponenti della destra israeliana sulla spianata delle moschee a Gerusalemme a provocare la nuova ondata di violenza.
L’Intifada dei coltelli, con nuove vittime da una parte e dall’altra, va avanti a fuoco lento. Le proteste palestinesi e tra gli arabi israeliani anche, mentre Israele insiste per dire che non ha cambiato e non saranno cambiati gli accordi per i luoghi santi di Gerusalemme. Nelle prossime ore, il segretario di Stato americano vedrà il premier israeliano a Berlino (primo punto sull’agenda, chiarire la posizione israeliana riguardo la spianata delle moschee) e poi, sabato ad Amman, il presidente palestinese. Kerry vorrebbe organizzare un vertice tra i due ma per Netanyahu il dialogo deve aspettare la fine della violenza e, dice, dell’«incitamento».
POLITICA CONTRO VIOLENZA
Il segretario generale dell’Onu, in un video-messaggio a israeliani e palestinesi prima di arrivare in Israele ha parlato chiaro: «Serve un orizzonte politico per rompere questo ciclo di violenza e di paura». Rivolgendosi ai giovani palestinesi, Ban Ki-moon ha aggiunto: «Capisco la vostra frustrazione, so che le vostre speranze di pace si sono infrante innumerevoli volte, ma vi esorto a trasformarla in una voce forte ma pacifica per il cambiamento». Riconoscendo le preoccupazioni per la sicurezza degli israeliani, ha fatto notare che «le risposte dure da parte delle autorità e la demolizione delle case» non portano a questo obiettivo. A tutti ha chiesto di «non permettere gli estremisti da entrambe le parti di usare la religione per alimentare ulteriormente il conflitto».
Netanyahu continua ad accusare Abu Mazen di non fare abbastanza contro l’incitamento, mentre l’Intelligence israeliana ammette che il presidente palestinese non soltanto non vuole una nuova Intifada ma fa di tutto per bloccare i gruppi estremisti. Hamas, il movimento islamico, lo preoccupa quanto preoccupa Israele e ieri soldati israeliani sono entrati a Ramallah, sede del governo palestinese, per arrestare il leader politico di Hamas in Cisgiordania. Lo sceicco Hassan Yusef, secondo un portavoce militare, «ha incitato al terrorismo». L’accusa: lui o qualcuno altro della dirigenza del movimento islamico avrebbe ordinato la ripresa degli attentati suicidi in Israele o contro i coloni nei territori occupati. Per un altro esponente di Hamas, a Gaza, i giovani dovrebbe passare dai coltelli a usare armi da fuoco.
I TIMORI DI NETANYAHU
Non è la prima volta che Yusef finisce in carcere. È un esponente di spicco dell’ala cosiddetta pragmatica di Hamas che, secondo fonti arabi, in questo momento non vuole assolutamente creare i presupposti per un’altra guerra a Gaza ma che amerebbe assumere un ruolo guida di un’eventuale insurrezione in Cisgiordania. Uno dei suoi nove figli – Mussab Hassan Yusef – ha ottenuto notorietà a livello internazionale quando si è scoperto che con il soprannome di “Principe Verde” era stato, per dieci anni, un informatore dei servizi segreti israeliani. Oggi, convertitosi al cristianesimo, vive negli Stati Uniti.
Almeno a parole, Netanyahu in questo momento ha più paura del Movimento islamico israeliano che accusa di incitare non soltanto i palestinesi ma gli stessi arabi d’Israele, il venti per cento della popolazione. Sarebbe intenzionato a mettere fuorilegge l’ala più radicale del movimento.