La Stampa, 21 ottobre 2015
Ricordo di Arthur Miller, nato cent’anni fa e cantore drammatico del Sogno Americano
Arthur Miller, il maggior drammaturgo americano, con Tennessee Williams, della seconda metà del Novecento, era nato a New York il 17 ottobre 1915, cento anni fa. Sulla spinta della ricorrenza vanno in scena in Inghilterra e in America i suoi drammi più belli. Anche in Italia: a Roma, al Teatro Argentina, ha esordito ieri Il prezzo, un lavoro del 1968, proposto dalla Compagnia Orsini nella traduzione di Masolino d’Amico pubblicata da Einaudi. Miller scrisse che il prezzo, nella vicenda privata del dramma, è il prezzo della negazione; come, nel 1968, lo era stato quello della negazione da parte dell’America di combattere una guerra in Vietnam. Miller fu sempre un vero americano. Ma scomodo, come in questa sua dichiarazione.
Il «sovversivo»
Nel 1947, con Erano tutti miei figli, aveva conquistato Broadway; e due anni dopo, con Morte di un commesso viaggiatore diretto da Elia Kazan, aveva ottenuto un successo ancora più clamoroso. Un nuovo successo, nel 1953, era stato Il crogiuolo, un dramma storico sulla caccia alle streghe nell’America di fine Seicento. Di caccia alle streghe si parlava negli ambienti progressisti americani a proposito della campagna contro i comunisti (veri o presunti) orchestrata dal senatore McCarthy. E lo stesso Miller, nel 1956, con un pretesto fu convocato dalla «Commissione sulle attività antiamericane»: gli chiesero di fare i nomi degli artisti che anni prima avevano partecipato con lui a riunioni «sovversive». Miller non li fece. Elia Kazan i nomi li aveva fatti. E quindi Miller, per contrasto, emerse come un campione di dignità morale. Scomodo. All’udienza si presentò con lui Marilyn Monroe, la donna più desiderata d’America, che aveva sposato nel giugno del 1956. Lei lo lasciò cinque anni dopo, alla fine delle riprese di The Misfits, il film di cui Miller aveva scritto la sceneggiatura.
Il 1956 fu anche l’anno in cui andò in scena, a Londra, la versione definitiva di Uno sguardo dal ponte. È a questi primi quattro drammi che l’autore deve il suo posto tra i Grandi del teatro del ’900. Miller si mosse nel solco della tradizione naturalistica, anche se per alcuni aspetti, come proprio in Uno sguardo dal ponte, seppe tenere presente la lezione di Brecht; ma la sua forza stava altrove.
Il suo capolavoro
Ciò che questi drammi consegnarono al pubblico di allora (e di oggi) è il ritratto critico dell’America dell’immediato dopoguerra. Anche nel Crogiuolo, dato l’ovvio rimando alla caccia alle streghe figlia della Guerra fredda; e anche in Uno sguardo dal ponte, dove la storia freudiana dell’italiano innamorato della nipote si intreccia con quella dell’immigrazione (clandestina) nel Paese delle Opportunità. Ma soprattutto in Erano tutti i miei figli, ovvero la ricerca del successo economico a tutti i costi; e nel suo capolavoro, Morte di un commesso viaggiatore, ormai un classico americano studiato nelle scuole. La storia di Willy Loman, che crede ciecamente nell’American Dream, nel sogno che la ricchezza tutti la possano davvero ottenere, e che viene travolto dalla disperazione per il suo insuccesso, è una sconsolata parabola resa ancor più efficace dal fatto che Loman, per vendere meglio la sua merce, doveva anche vendere sogni. Gli stessi in cui credeva anche lui, ma che purtroppo, come dirà suo figlio, erano sogni sbagliati.