Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 21 Mercoledì calendario

Mirò, Man Ray: Teho Teardo fa suonare la pittura

ROMA.
Ha suonato con The Wire e Placebo, ha fatto un disco con Blixa Bargeld degli Einstürzende Neubauten (il gruppo tedesco che ha unito neoespressionismo e cultura “industrial” d’avanguardia), sta lavorando con Lalli e Canty dei Fugazi, leggenda del punk americano, a un possibile album futuro. Teho Teardo, 49 anni di Pordenone, primi passi mossi nel collettivo post-punk “Great Complotto” degli anni 80, negli ultimi tempi si è dedicato al cinema: «Con Sorrentino per la colonna sonora de L’amico di famiglia e Il divo», con cui ha vinto un David di Donatello, «con Andrea Molaioli per La ragazza del lago, Vicari per Diaz, ma le proposte sono sempre di più. Amo far incontrare quello che si sente e quello che si vede», racconta nel suo studio di Roma, vicino Piazza Vittorio.
Teardo è uno dei pochi artisti italiani a poter vantare collaborazioni internazionali di grande prestigio. Non solo. È di questi giorni anche un lavoro su Mirò intitolato Into the Black – Music for Joan Mirò, in occasione di una mostra aperta sabato scorso a Villa Manin, a Codroipo, Udine, intitolata Mirò-Soli di notte.
«Di lui mi ha sempre affascinato questa cosa per cui lui, all’apice della fama, decide di mollare tutto per andare a Palma di Maiorca: lì abbandona il colore e usa solo il nero. Rimane solo un segno. Oggi quello studio è diventato un museo e i curatori della mostra a lui dedicata mi hanno chiesto di andare a registrare lì, in questo posto dove ci sono i suoi quadri incompiuti, i suoi oggetti e così ho potuto usare ocarine e percussioni che gli appartenevano, ho microfonato diversi oggetti che usava, pennelli, vasi di colore e li ho fatti suonare». Una sorta di compenetrazione totale col mondo dell’artista, alla ricerca di un modo per far diventare musica quel tratto. «Lo studio di Mirò è tutto ricostruito intorno alla luce, una luce continua persistente che filtra ovunque e ti fa stare bene. Da lì si vede il mare e intorno a me c’erano tutte le sue sgocciolature di colore. Quelle sgocciolature sono Mirò: affogavo nella luce. Da quella luce è nata la musica».
Questo metodo di lavoro Teardo l’ha attuato anche per il recente album Le retour à la raison, ispirato a Man Ray. «È partito anche questo come lavoro su commissione di Villa Manin, è diventato un’ossessione e poi uno spettacolo e infine un disco. Mi hanno chiesto di pensare alla musica per tre film che sarebbero stati proiettati a ciclo continuo durante la mostra». Non è stata una scelta casuale. «Ero ossessionato da Man Ray da sempre. Ho deciso che doveva guidarmi una certa casualità: sono entrato in studio pensando di usare solo gli oggetti che ho sul tavolo. Erano due campane, una roncola, degli oscillatori, due microfoni e poco altro. Niente archi, niente chitarre. Soltanto quando ho costruito un’ossatura di rumori ho iniziato ad inserirli». Mostra gli oggetti: le piccole campane hanno un suono bellissimo, penetrante. «Durante il progetto ho iniziato a sognare Man Ray: entrava in studio, mi spostava gli oggetti, in uno di questi sogni mi urlava “Quaranta!”. Dovevo ubbidire a quei segni, fare qualcosa: nel pezzo finale del disco, L’Etoile De Mer, che è una marcia funebre, suonano quaranta chitarristi. Solo così sono riuscito a liberarmi da quel fantasma».