la Repubblica, 21 ottobre 2015
Manzoni, in giardino, con in testa la paglietta esposta adesso nella sua casa
Dopo un importante restauro e con un nuovo percorso espositivo riapre l’abitazione che, fra tutte le dimore dove lo scrittore ha vissuto, conserva la memoria più profonda di Alessandro Manzoni. Quando Manzoni usciva in strada, in via Morone, gli bastava una breve passeggiata per raggiungere qualche amico. In via Monte Napoleone c’era Carlo Porta. In via Brera Vincenzo Monti. Federico Confalonieri e Silvio Pellico in via Monte di Pietà. Anche per questo quella casa milanese con doppio affaccio, su via Morone e su piazza Belgioioso, gli era piaciuta subito: si trovava al centro di un’ideale rete di relazioni e affetti, ma anche di biblioteche e librerie indispensabili per la sua attività di studioso. L’aveva quindi comprata nel 1813, con una certa fatica, per andarci a vivere con la giovane moglie Enrichetta Blondel, la madre Giulia, i figli che sarebbero poi venuti numerosi. E perfino con qualche amico, come Tommaso Grossi, forse il più intimo, che in via Morone ci visse a lungo. Tra quelle mura Alessandro ha scritto e limato fino all’ossessione le sue pagine più importanti, quelle dei Promessi sposi. E lì ha avuto il colpo durissimo di veder morire l’amata Enrichetta, il Natale del 1833, per ritrovare poi un poco di serenità nella forza concreta della nuova moglie, Teresa Borri Stampa, interessante mix di spirito artistico e determinazione. La casa della vita, quindi, che riporta l’identità più profonda di Manzoni come un calco in gesso. Capirne la centralità è indispensabile per apprezzare davvero l’importanza del restauro appena concluso, sottolineato da un nuovo percorso espositivo appena riaperto al pubblico. «L’allestimento del museo», spiega il professor Fernando Mazzocca che lo ha supervisionato, «è stato ripensato secondo i più aggiornati orientamenti e i materiali sono stati ricollocati in dieci sezioni coerenti in cui trovano spazio il Manzoni, la sua famiglia, gli amici, ma anche luoghi stessi della casa particolarmente importanti, come lo studio dove lo scrittore si metteva tutti i giorni al lavoro». Due delle sezioni sono dedicate quasi interamente ai Promessi sposi, di cui si mostrano l’immediata fortuna e le opere dei numerosi illustratori che ne raccontarono i più celebri episodi. «I Promessi sposi sono spesso sentiti come il libro di noiosi studi scolastici», sottolinea Mazzocca, «ma quando uscirono furono subito uno straordinario successo popolare in tutta Europa, come dimostra la famosa edizione illustrata da Francesco Gonin che uscì a dispense tra il novembre del 1840 e quello del 1842», quindi un raro caso di bestseller che nello stesso tempo è capolavoro letterario e pietra miliare nella formazione della lingua nazionale. La casa di Manzoni diventa quindi il luogo migliore dove comprendere il rilievo e le molte facce del personaggio. Una sezione, per esempio, è stata dedicata alla sua passione per la botanica, che ritroviamo nel brano della vigna di Renzo, pezzo di bravura nel descrivere l’articolata varietà di piante domestiche e selvatiche ormai padrone dei filari abbandonati. Passione non solo linguistica: Manzoni era proprietario terriero e s’interessava di metodi di coltivazione, scriveva per chiedere sementi, studiava macchine agricole più efficienti. Ma la casa di Manzoni è anche di più: «Non abbiamo finito un lavoro», sintetizza il presidente del Centro di studi manzoniani Angelo Stella, «ma lo abbiamo cominciato. Dobbiamo pensare al museo come a un cantiere, un’opera aperta, un luogo dove ospitare regolarmente eventi e mostre». Perché sono molte le cose anche importanti – come il ritratto del cardinale Federico Borromeo – che non hanno trovato spazio nel percorso espositivo. E perché la collocazione di questo edificio, nel cuore di Milano, le dimensioni, la sua natura di casa-museo e centro di studi lo destinano naturalmente a un ruolo attivo nella vita cittadina. Il tema delle dimensioni ci riporta alla complessità del restauro. Il progetto di ristrutturazione, elaborato dallo Studio De Lucchi sia per migliorarne la funzionalità che per consentirne usi diversi, ha richiesto interventi su 5.800 metri quadrati di superfici interne (di cui 1.600 di decorazioni), oltre 300 di soffittature lignee a cassettoni, 250 di pavimentazioni storiche e 1.400 di facciate, senza dimenticare lo splendido giardino, su cui s’affaccia lo studio di Alessandro. Che, quand’era stanco di parole, si metteva in testa la paglietta (adesso in mostra), usciva e ascoltava le frasi mute delle piante.