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 2015  ottobre 21 Mercoledì calendario

Marino sta pensando di ritirare le dimissioni e farsi sfiduciare in aula. Pronte le dimissioni in massa dei consiglieri democratici

ROMA. «A me l’unica cosa che interessa, adesso, è ristabilire la verità. Voglio che tutti, a partire dal Pd, riconoscano il principio per cui se vado a casa non lo faccio per una squallida storia di scontrini, ma perché non ci sono più le condizioni politiche per andare avanti. E se il prezzo da pagare è ritirare le dimissioni e andare alla conta, ebbene, sono pronto a correrlo. Mi sfiducino, se ne sono capaci». È un Ignazio Marino scuro in volto ma barricadero quello che, a ridosso dell’ora di pranzo, si presenta nella sala della Protomoteca in Campidoglio preceduto da un agente di scorta e due avvocati affianco, per scavare la sua ultima trincea. La sfida estrema di un uomo che non ha più nulla da perdere, deciso a salvare almeno l’onore, «la mia dignità, di persona e di amministratore». Rilancia, il chirurgo dem. L’hanno dato per morto e lui invece è vivo. La prova affidata a una laconica conferenza stampa in cui ribadire ciò che tutti sanno perché è la legge che lo consente: la possibilità di avviare, entro i 20 giorni previsti per il congedo definitivo, una verifica sui numeri per andare avanti. Una mossa a sorpresa che ributta la palla nell’altra metà campo, lo tira fuori dall’angolo e costringe gli avversari a venire allo scoperto. Lasciandogli non una, ma ben due strade aperte. La prima: farsi “fucilare” sulla pubblica piazza, ovvero l’aula Giulio Cesare, dove una decina di consiglieri irriducibili (i 4 di Sel, più i 5 della lista civica, uno del Misto e forse un paio del Pd) non basterebbero ad allungare la sua avventura in Campidoglio, ma gli farebbero guadagnare le stimmate del martire sacrificato sull’altare della bassa politica, eseguita da un boia che a quel punto avrebbe nomi e cognomi. Buone anche a legittimare, in prospettiva, la rappresaglia: ovvero la corsa solitaria con una lista di disturbo alle amministrative di primavera. Esattamente l’ipotesi più sgradita agli eletti pd, non a caso per una volta compatti nel chiedere ai vertici di scongiurarla. Oppure, ed è la seconda via avvistata da Marino: alzare la posta e trattare direttamente con il Nazareno una buonuscita, sorta di salvacondotto (seggi sicuri in Parlamento? In qualche organismo internazionale?) che garantisca il futuro suo e dei collaboratori più stretti, il braccio destro Roberto Tricarico e la storica portavoce Alessandra Cattoi. «Se questi credono di potermi far passare per un ladro di polli da liquidare con un diktat calato dall’alto, hanno sbagliato di grosso», riflette a voce alta il sindaco, rinchiuso fino a sera nel fortino sul colle capitolino. Consapevole di avere le armi spuntate, ma capace di fare ancora paura. Ne sa qualcosa Palazzo Chigi, dove le parole di “Ignazio” vengono accolte con un misto di incredulità e apprensione. Luca Lotti, l’alter ego di Renzi, si mette subito in contatto con Orfini. Il commissario del Pd romano, incaricato di gestire la partita e già uscito malconcio dal braccio di ferro con il sindaco, ha appena convocato i consiglieri dem per accelerare la pratica delle dimissioni di massa. Ma Lotti lo frena: «Non perdiamo la calma, aspettiamo di vedere cosa fa Marino, se il suo – come credo – è solo un bluff». Insieme ad Orfini concordano la linea attendista. Nel frattempo il Nazareno cercherà di aprire un canale diretto con il chirurgo, per conoscere le sue reali intenzioni e capire cosa vuole in cambio. La campagna elettorale è alle porte, un altro sbaglio significherebbe compromettere le già fin troppo esigue chance di vittoria. Alla riunione con i consiglieri, Orfini lo dice chiaro. «Non precipitiamo le cose. Aspettiamo. Marino non è affidabile». I piddini sospirano di sollievo. «Bene così, non facciamo scorrere il sangue, per noi la mozione di sfiducia sarebbe un disastro, i nostri militanti non capirebbero», gli fa eco il capogruppo Panecaldo. «Adesso però, se vogliamo avere qualche possibilità, bisogna condividere le nostre scelte con gli alleati, a cominciare da Sel», avverte il consigliere Palumbo, «non regaliamoli al sindaco, per favore». Il percorso è tracciato. Mancano solo 12 giorni. Poi l’incubo Marino sarà (forse) finito per sempre.