Corriere della Sera, 21 ottobre 2015
Tristan Tzara e il Cabaret Voltaire. Letture, concerti, danze che presto si mutano in urli e percussioni di grancasse. Mentre arriva la polizia, Lenin, in un angolo, continua a giocare a scacchi
Tutto comincia con un tagliacarte infilato in un dizionario. Sono le 18 dell’8 febbraio 1916, e da circa tre ore una pioggia fortissima martella le strade di Zurigo. Si apre la pagina: la punta della lama è ferma sulla parola Dada. Che diventa il nome del gruppo di giovani che si riunisce al «Cabaret Voltaire», fondato tre giorni prima dal regista tedesco Hugo Ball e dalla moglie Emmy: una sala appartata del «Meitrei bar», sulla Spiegelgasse, destinata a letture di testi letterari e spettacoli musicali.
Chi sono questi contestatori che si oppongono alla guerra, alla cultura ufficiale e vogliono sovvertire qualsiasi regola e morale corrente? Al momento, Jean Harp, Marcel Janco, Richard Huelsenbeck, Christian Schad e Tristan Tzara («l’uomo col monocolo»), cui se ne aggiungeranno altri. «Genio senza scrupoli» – secondo la definizione di Richard Huelsenbeck – Tristan Tzara (il cui vero nome è Samuel Rosenstock) è arrivato a Zurigo dalla Romania dov’è nato nel 1896. Il diciannovenne ribelle, con tanto fuoco in corpo, scompiglia la città che ospita Romain Rolland, James Joyce e Jorge Luis Borges.
Il Cabaret accoglie artisti d’avanguardia e un pubblico eterogeneo. La poesia è un essere vivente, sostengono i dadaisti, e i poeti non devono limitarsi a scriverla, ma anche esibirla, recitarla. Gridarla, se necessario. Quando letture, concerti e danze diventano caotici e dissacranti e si mutano in urli, percussioni di grancasse, agli amanti della letteratura si affianca spesso la polizia, chiamata dai vicini. Letture, ma anche partite di scacchi: basta vedere come Lenin e Tzara muovono re, regine, alfieri, cavalli, torri e pedoni.
Il Cabaret Voltaire è una sorta di officina culturale. Manifestazioni quotidiane, ma anche attività editoriali e mostre d’arte. Nasce la rivista omonima, cui collaborano Apollinaire e Picasso, Modigliani e Marinetti. Intanto Tzara pubblica La prima avventura celeste di monsieur Antipyrine (da un analgesico da lui usato), con sette incisioni del connazionale Janco. Dada va contro tutto e contro tutti. È «un’impresa di demolizioni», dice André Gide. Che, però, attrae intellettuali provenienti da tutti i Paesi. Su Cabaret Voltaire cominciano a scrivere anche André Breton, Philippe Soupault, Louis Aragon, Jean Paulhan, Jean Cocteau, Pierre Reverdy. Ma questo «stato di grazia» non dura a lungo. Tzara è un rivoluzionario che sovverte tutto e tutto trasforma.
Da Zurigo a Parigi. Nella capitale francese, «l’uomo col monocolo» approda nel gennaio 1920 e va a vivere a casa Picabia. È l’inizio dell’amicizia con Breton, del periodo surrealista, dell’iscrizione al Partito comunista. Ma due caratteri forti sono destinati a scontrarsi. Breton, «integro e rigido come una croce di sant’Andrea» (Dalí) non può certo andare d’accordo con un contestatore per vocazione qual è Tzara. Inevitabile la rottura, nel ’25, anche se momentanea. Quella definitiva avverrà nel ’35. Poi Tzara partecipa alla Guerra civile spagnola (coi repubblicani) e alla Resistenza francese. Nel ‘56, per i fatti d’Ungheria, lascia il Pc. Muore nel ’63.
Ed ecco che la sua vita diventa il tema di una grande mostra cronologica dedicatagli dal Museo d’arte moderna e contemporanea di Strasburgo (sino al 17 gennaio), intitolata L’uomo approssimativo: poeta, scrittore d’arte e collezionista. Testi letterari, fotografie, documenti vari, dipinti, disegni di artisti europei – Taeuber, Schwitters, Robert e Sonia Delaunay, Gris, Picabia, Duchamp, Man Ray, Ernst, Tanguy, Dalí, Brauner, De Chirico, Picasso, Miró, Masson, Matisse, Brancusi, Klee, Giacometti e altri – e sculture provenienti da Congo, Gabon, Burkina Faso, Mali, Costa d’Avorio, Messico.
In un angolo del Museo, Lenin e Tzara continuano la loro partita a scacchi.