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 2015  ottobre 21 Mercoledì calendario

Parla Ren Jianxin, il nuovo presidente cinese di Pirelli, e spiega perché è conveniente, nonostante tutto, investire in Italia

Un nuovo azionista di maggioranza, un nuovo consiglio e anche un nuovo presidente. La svolta della Pirelli è iniziata. Alla Bicocca si è tenuto ieri il primo consiglio dopo la chiusura dell’Opa lanciata da ChemChina insieme a Camfin, la storica cassaforte del gruppo controllata da Marco Tronchetti Provera, e Ren Jianxin, numero uno di ChemChina, è stato nominato presidente di Pirelli. È il primo cinese ad assumere questo ruolo nel panorama delle multinazionali del nostro Paese. Anche se la Cina è un grande investitore di Piazza Affari, l’operazione con Pirelli è un’altra cosa. Non si tratta di diversificazione o di un semplice investimento finanziario. Quella tra ChemChina e la Bicocca è una vera alleanza industriale. E Ren ha le idee molto chiare su cosa fare adesso per trasformare questa operazione in una nuova storia di successo. Per entrambi i gruppi.
Mr. Ren da oggi lei è presidente della Pirelli, un marchio globale che rappresenta una delle eccellenze del Made in Italy. Che effetto le fa?
«Per noi di ChemChina è un grande momento. È un privilegio per me assumere la presidenza di Pirelli e lavorare insieme a Marco Tronchetti Provera, lo considero un fratello maggiore e un maestro. Siamo diventati amici e da oggi siamo anche colleghi. Abbiamo la stessa visione industriale, gli stessi valori e l’obiettivo comune di spingere la crescita dell’azienda. Come presidente la mia priorità sarà quella di supportare il management a fare l’integrazione delle rispettive attività nel segmento Industrial, a rafforzare la cultura d’impresa e ad aumentare la penetrazione nei mercati ad alto potenziale di sviluppo».
Avete detto che per voi è importante che Pirelli resti italiana. Perchè?
«Pirelli è un brand che ha solide radici in Italia, ma è anche un player mondiale. E sebbene ChemChina ne abbia il controllo, Pirelli resterà in Italia. Non si può pensare di far crescere un’azienda fuori dall’alveo in cui ha prosperato. Questa azienda è riuscita a coniugare tradizione, cultura e innovazione in ogni settore di attività e oggi, partendo dall’Italia, ha acquisito una visione strategica globale molto marcata. Quando ho visitato l’Expo la cosa che mi ha colpito di più è stata l’Albero della Vita, poi ho saputo che era sponsorizzato anche da Pirelli. Una sorpresa, ma anche una conferma di come Pirelli sappia rappresentare le proprie eccellenze. È un esempio della creatività italiana. Sono sicuro che resterà un simbolo dell’Expo di Milano come la Tour Eiffel lo è stata dell’Esposizione Universale di Parigi del 1889».
Perché ChemChina ha scelto di investire nella Pirelli?
«Se ami il made in Italy e vuoi investire in Italia non puoi non pensare a Pirelli. Per noi è un’opportunità per imparare, collaborare e fare leva sulla nostra complementarietà. La nostra controllata China National Tire & Rubber Co. ha attività nella gomma e negli pneumatici complementari a quelle di Pirelli. L’integrazione delle attività industriali porterà a grandi sinergie e aumenterà la nostra competitività, la qualità dei nostri prodotti e le competenze nelle nostre fabbriche. Allo stesso tempo aiuteremo Pirelli, anche con i suoi prodotti consumer, il suo brand e la sua tecnologia, a conquistare l’enorme mercato premium e prestige in Asia. Crediamo molto nel progetto avviato con Pirelli, così come ci crede il Silk Road Fund (il fondo creato a dicembre dell’anno scorso dalla Repubblica Popolare Cinese, con una dotazione di 40 miliardi di dollari, per accelerare gli investimenti all’estero, ndr ), che ci ha affiancato nell’investimento. Il fondo ha visitato Pirelli e ne è entusiasta».
Che cosa significa questo investimento per la Cina?
«La Cina ha varato un piano “Made in China 2025”, la versione cinese del tedesco “Industry 4.0”. Siamo convinti che otterremo grandi risultati incentivando imprenditorialità e innovazione. Il mondo ha capito che la manifattura deve essere la base di ogni economia. Il matrimonio con Pirelli porterà a un miglioramento tecnologico e a una produzione di alto livello. Saremo i primi nel settore tyre a raggiungere gli obiettivi di “Made in China 2025”».
E ChemChina cosa porterà alla Pirelli?
«Questo matrimonio può portare a Pirelli il maggior mercato del mondo. In termini di quote di mercato, essere parte di una stessa famiglia darà benefici a entrambi i gruppi. Nel 2014 il tasso di possesso di auto in Cina era di 107 vetture ogni mille abitanti, nel 2024 le previsioni indicano un rapporto di 257 a mille, oltre il doppio. L’industria automobilistica mondiale si sta ormai orientando anche verso lo sviluppo di auto ibride, elettriche o alimentate da energie pulite. È facile intuire come il mercato sarà sottoposto a un profondo cambiamento e come le nuove tecnologie accelereranno il ricambio del parco auto, cosa che rappresenta un’opportunità per chi fa gomme. Inoltre la Cina ha preso un serio impegno nella riduzione dell’inquinamento. Alla recente conferenza dell’Onu, il presidente Xi Jinping si è impegnato ad abbassare del 45-50% le emissioni di Co2 entro il 2020. Il governo ha stanziato incentivi sugli acquisti di auto alimentate con energie rinnovabili, cosa che aumenterà la domanda di pneumatici».
ChemChina ha fatto diverse acquisizioni nel mondo prima di investire nella Pirelli. Qual è il bilancio ad oggi, anche dal punto di vista dell’integrazione delle diverse culture?
«Gli economisti dicono che un’integrazione ha il 25% di possibilità di successo e il 75% di fallimento. Prima di Pirelli abbiamo condotto sette fusioni e acquisizioni e tutte con successo. In questo senso siamo stati fortunati. Ma per avere successo nelle alleanze e negli investimenti internazionali, occorre considerare la strategia industriale di una società, non solo la sua capacità o la sua dimensione. Non si possono solo sommare le capacità produttive o la presenza di mercato: bisogna guardare più avanti, immaginare il futuro. Per esempio Adisseo è stata acquisita in Francia nel 2006 e con noi i ricavi sono cresciuti di circa 4 volte e l’Ebitda di circa 12. In Australia abbiamo acquisito Qenos, leader nella produzione di polietilene con best practice internazionali nella sicurezza, nella salute e nell’ambiente che abbiamo adottato in tutto il gruppo ChemChina. Nel 2001, in Norvegia abbiamo acquisito Elken, che ci ha aiutato nel turnaround di cinque fabbriche in Cina. L’Elken business system (Ebs), un sistema di “lean manufacturing” (ottimizzazione del ciclo produttivo con azzeramento degli sprechi, ndr ), oggi è usato non solo in queste cinque fabbriche. Abbiamo anche fatto altre acquisizioni in Francia, Gran Bretagna, Israele e Singapore. In tutte, l’eccellenza del management ha la massima importanza, oltre alla qualità dell’asset. Le chiavi per un’integrazione di successo sono il rispetto, la fiducia e pieni poteri al management. Altro aspetto fondamentale è l’integrazione culturale, cioè la comprensione e il rispetto delle diverse culture. Per far ciò, ad esempio, da 25 anni organizziamo il “Bluestar International Summer Camp” per i figli dei dipendenti di tutto il mondo. Lo visito ogni anno, nonostante i miei tanti impegni».
Il sistema Italia, in base alla sua esperienza, ha la capacità di attrarre investimenti internazionali? In altre parole, è facile o difficile investire in Italia?
«Senza dubbio l’Italia è considerata una meta eccellente per gli investimenti. Il vostro Paese fa parte del G7, del G20, del Wto ed è una delle prime quattro economie europee. Vanta una posizione geografica strategica: è un ponte tra l’Europa e l’Africa, un mercato da oltre 1 miliardo di consumatori. Quindi investendo in Italia si arriva direttamente al mercato europeo. L’Italia ha creato il nuovo programma “Invest in Italy” per attrarre investimenti stranieri. La solidità, la tradizione e l’innovazione dell’industria italiana rende la sua economia sostenibile nel lungo termine. Investire in Italia è un’ottima scelta e ne siamo sempre più convinti».