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 2015  ottobre 20 Martedì calendario

"Passati col rosso": dopo 40 anni di onorata carriera, Gino e Michele tornano a teatro per leggere alcuni loro vecchi pezzi satirici. «Uno dei due è convinto che questo spettacolo sarà un capolavoro, l’altro che sarà il primo passo verso il baratro del prepensionamento. Con sentimenti contrastanti, ma pieni di buona volontà, ci accingiamo a fare i comici, noi che i comici li abbiamo sempre mandati al macello»

Ci sono cose che a Milano non si fanno mai, come stare alzati per vedere l’alba, o pedalare a testa in su per scoprire quanto sono belli i piani alti delle case di inizio Novecento. Ci sono cose che non si fanno mai come camminare piano, mangiare il panettone in un giorno di settembre o guardarsi indietro senza cadere nell’ovvio della nostalgia. Ma noi che siamo milanesi anomali queste cose le abbiamo invece fatte tutte. Per esempio il guardarsi indietro. Abbiamo deciso di andare a ripescare i nostri scritti, prevalentemente di satira, dei decenni scorsi. Questo dopo quarant’anni di onorata carriera vissuta in coppia. L’abbiamo fatto aggiungendoci la prosopopea di volerli leggere noi, in uno spettacolo che dovrebbe chiamarsi semplicemente Reading di Gino e Michele, e che invece ha ripescato il titolo di una nostra vecchia trasmissione di Radio Popolare: Passati col rosso.
Lo spettacolo girerà per i teatri e partirà il 28 ottobre dal Politeama di Genova, tanto per non farsi pubblicità.
Quarant’anni di onorata carriera significa averne tanti alle spalle: se si pensa che Mozart morì a 35 anni, c’è da vergognarsi di essere ancora vivi…
Dicono che siamo una “coppia di successo”, o almeno così raccontano gli altri, oltre che forse le cronache. A questo proposito c’è una bella frase di Michel Piccoli, grande attore del cinema francese, non a caso pieno di dna italiano, una sua osservazione sulla vita di coppia: “Sai qual è la più bella storia d’amore del cinema mondiale? Quella che raccontano Stanlio e Ollio, quando Oliver Hardy guarda Stan Laurel e gli chiede: ‘Stanlio, ma tu preferisci me o la torta di mele?’ e Laurel guarda Hardy, poi il pubblico, poi ancora Hardy e il pubblico. E gli viene da piangere”.
In realtà, pur senza sapere chi di noi due è una crostata, il nostro matrimonio artistico ha conosciuto l’iter che normalmente caratterizza ogni convivenza. Una prima parte di grande innamoramento, in cui tutto quello che dice l’altro è perfetto; una fase centrale di scazzo continuo, dove tutto quello che propone l’altro è fuori luogo; infine una fase tranquilla, quella che apre le soglie dei secondi quarant’anni, in cui, pur di non crearsi problemi e di vivere in pace la propria età avanzata, quello che dice l’altro è, beh, in fondo in fondo, giusto. In realtà questa è la soglia del rincoglionimento.
Per ciò, appena ce ne siamo accorti, abbiamo ricominciato a litigare. Per esempio uno dei due è convinto che questo spettacolo sarà un capolavoro, l’altro che sarà il primo passo verso il baratro del prepensionamento. In altre parole quella che si dice un’ “operazione di fine umorismo”.
Pitigrilli lo diceva quasi un secolo fa: “Quando l’umorismo non c’è, lo si chiama ‘fine’ umorismo”. Speriamo che abbia ragione l’altro, quello ottimista, che non vi diciamo chi è, tanto lo negherebbe, falso com’è… Per esempio asserisce di avere il nome più lungo.
E così, con sentimenti contrastanti, ma pieni di buona volontà, ci accingiamo a fare i comici, noi che i comici li abbiamo sempre mandati al macello, piazzandoli davanti a una telecamera o facendoli salire su un palco con la prospettiva di fare ridere. Per questo pensiamo che le tappe della nostra tournée avranno spesso in sala le nostre vittime del passato, a vendicarsi, magari con quell’“andate a lavorare di giorno!”, forse un po’ classista ma tanto esplicito.
Noi in realtà di giorno abbiamo sempre lavorato, è la sera che ci frega. Per questo dovremmo essere più accorti. Ma l’avanzare degli anni rende spesso più incoscienti, non è vero che si è più prudenti. Ce la faremo? L’unica cosa che possiamo garantire è che all’inizio dello spettacolo non accoglieremo nessun ritardatario come fanno il 103% dei comici che vengono dal cabaret con quel “Eravamo in pensiero”, che solo a scriverlo qui ci viene la pelle d’oca. E neppure termineremo lo spettacolo, anche se per un caso su mille sarà divertente davvero (tranquilli, lo sarà!) con la bella intuizione del grandissimo Laurence Olivier saccheggiata a piene mani da qualsiasi comico abbia mai avuto l’avventura di avere un proprio spettacolo teatrale.
Tutti concludono, passandola come se fosse loro, con questa frase: “Davvero, siete un pubblico stupendo. Ditemi dove siete a lavorare domani che vi vengo a vedere”.
Tranquilli, veniteci davvero a vedere, in teatro. Garantiamo che anche i fortunati entrati con gli omaggi, alla fine insisteranno alla cassa per pagare il biglietto.
Noi comunque ci siamo preparati una chiusa, giusto perché i comici che verranno a vederci, poi ci diranno quello che noi abbiamo raccomandato loro per tutta la vita: “Bravini, ma qui manca la chiusa!”.
La nostra è una chiusa che non c’entra niente ma che ci fa ridere. L’abbiamo presa in prestito da Antonio Cornacchione, quello di “Povero Silvio” e fa parte di un suo spettacolo antico, tanto che se gliela portiamo via non se ne accorgerà. È questa e riguarda l’allestimento di uno spettacolo, quindi è in tema; non è poi tanto vero che non c’entra niente.
“Ho proposto il mio numero con la mosca. È questo qui: esco con la mosca dentro una scatolina, subito la libero e lei mi gira due o tre volte intorno alla testa. Finché improvvisamente tiro fuori la lingua e lei si posa sopra. Metto la lingua dentro la bocca, faccio finta di inghiottire, la ritiro fuori… e lei è sempre lì aggrappata. Un successone!… Poi un giorno una signora: ‘Ma che schifo una mosca sulla lingua!’. ‘Signora, perché non ha visto cosa metto sulla lingua durante gli allenamenti!’”.
Fine. Applausi. Bis.