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 2015  ottobre 20 Martedì calendario

Sabotaggi al Tav, secondo i giudici di Torino le parole di Erri De Luca non furono istigazione a delinquere: «il fatto non sussiste». Resta però il fatto che, dal 2011, ci sono stati «oltre cinquanta assalti al cantiere in Valsusa più i danneggiamenti a mezzi e imprese e persone: col rischio che questi gesti ora siano indirettamente legittimati da una sentenza»

I giudici di Torino, ieri, non hanno sentenziato che l’istigazione a un reato non costituisca reato: hanno deciso che le parole pronunciate a suo tempo da Erri De Luca non hanno semplicemente istigato a niente, e, segnatamente, che non hanno avuto conseguenze. Dunque «il fatto non sussiste». Quindi non è vero, come sosteneva l’accusa e svariati testimoni, che gli assalti al cantiere ebbero un sussulto proprio dopo la pubblicazione delle dichiarazioni di De Luca sul sabotaggio. O meglio: se anche un sussulto ci fosse stato, secondo i giudici, è impossibile individuare un link causa/ effetto che sia penalmente sanzionabile. Traduzione: se io invito a compiere un reato, io compio un reato; se invito a compiere un reato e poi il reato viene compiuto, beh, è un reato a cui si aggiunge un’aggravante; ma De Luca con le sue parole non invitò a compiere reati, e basta. Se i giudici avessero sentenziato che «il fatto non costituisce reato» avrebbero implicitato che l’istigazione magari c’era stata, sì, ma aveva una giustificazione nel diritto di critica: invece no, a loro dire non c’è stata proprio nessuna istigazione.
Questo hanno deciso i giudici di primo grado, e a leggere le motivazioni della sentenza ci sarà da divertirsi. È il caso di ricordare che nelle interviste, quelle incriminate, a De Luca avevano chiesto di commentare le dichiarazioni di Giancarlo Caselli dopo l’arresto di due militanti No Tav; due militanti, cioè, sulla cui auto erano state trovate bottiglie di plastica con benzina, tubi in plastica, cesoie e altro materiale da «sabotaggio». Nel maggio precedente, al cantiere, c’era stato un blitz notturno con un attacco a base di bengala e molotov: e le domande a cui rispose De Luca, nelle interviste, legittimavano il sabotaggio e si riferivano a questo, parlavano di questo. Ecco perché Giancarlo Caselli aveva avviato un’indagine per terrorismo e aveva criticato la complicità di intellettuali sostenitori della causa. È lo stesso Giancarlo Caselli che nel novembre 2013 mandò a quel paese Magistratura Democratica: e lo fece – non tutti lo ricordano – dopo che l’associazione aveva lasciato spazio proprio a De Luca e ai suoi inviti al boicottaggio.
Ieri l’avvocato Alberto Mittone, legale della società italo-francese (Ltf) che aveva denunciato De Luca, si è limitato a dire questo: «Nei momenti di tensione sociale ci sono dei limiti che soprattutto gli intellettuali dovrebbero rispettare». Ma De Luca – ex capo del servizio d’ordine di Lotta Continua, protagonista della campagna «di parole» che favorì l’assassinio del commissario Calabresi – non ha avuto paura che le sue parole potessero oltrepassare le intenzioni, e figurarsi se l’avrà adesso. Basti che ieri, in attesa della sentenza, ha ripetuto davanti ai giudici: «Confermo la mia convinzione che la linea ad Alta Velocità va intralciata, impedita e sabotata».
Nessun riferimento a cesoie e molotov e altre ambiguità, anzi, lo scrittore ha tirato in ballo una battaglia ideale: «È stata impedita un’ingiustizia, è stata ripristinata la legalità dell’articolo 21». Nientemeno che l’articolo della Costituzione che tutela la libertà d’espressione. «Procura e Digos devono capire che c’è un limite all’attività di repressione» gli ha fatto ecco Gianluca Vitale, il suo avvocato. Quindi in Italia mancava l’applicazione dell’articolo 21 e c’era la repressione: anche se questo non ha impedito che, dal 2011, ci siano stati oltre cinquanta assalti al cantiere in Valsusa più i danneggiamenti a mezzi e imprese e persone: col rischio che questi gesti ora siano indirettamente legittimati da una sentenza. «Si stava compiendo un esperimento, un tentativo di mettere a tacere parole contrarie» ha detto De Luca: evidentemente i pm Andrea Padalino e Antonio Rinaudo erano parte dell’esperimento.
Insomma, il momento era grave e l’abbiamo scampata bella: così pare. Forse è per questo che Erri De Luca ha trovato il tempo per lamentarsi di uno scarso appoggio di «intellettuali» e compagnia: «Sono degli assenti e si notano, si sono presi la responsabilità della loro assenza». Come mai? Ieri lo scrittore Sandro Veronesi, che non era molto in forma, a Repubblica online ha spiegato che «io credevo che sarebbe stato assolto, altrimenti mi sarei mobilitato di più». A De Luca non è bastato il gigioneggiare di ammiratori con la maglietta «#iostoconerri» che era sfoggiata anche da cosiddetti vip come Gad Lerner e Concita De Gregorio al salone del libro di Torino, tantomeno è bastato l’appoggio dei vari Feltrinelli Editore, Luigi Magistris, Roberto Saviano, Alessandro Robecchi, Antonello Caporale, Michela Murgia, Giuseppe Giulietti e varia ammucchiata a domino; tantomeno è bastato l’appello di vari «cineasti europei» tra i quali Wim Wenders, Claudio Amendola, Mathieu Amalric e Constantin Costa-Gavras. Tutta gente sicuramente informatissima sulla questione Tav in Valsusa, c’è da crederlo.
A Erri De Luca non è bastato che Domenico Procacci gli abbia dedicato il Nastro d’oro vinto a Taormina, e neppure le mobilitazioni, le letture pubbliche dei suoi libri, le petizioni francesi a cui hanno aderito anche politici e governativi. La ministra della Giustizia francese ha addirittura pubblicato un tweet prima della sentenza. A Erri De Luca non è bastato, a noi – che riconosciamo il conformismo modaiolo lontano un chilometro – sì.