ItaliaOggi, 20 ottobre 2015
Il periscopio di Siepi. Dagli italiani che mangiano cibi scaduti agli amanti che si dicono sempre le stesse cose (e per questo gli amori finiscono tutti nello stesso modo)
Il 55% degli italiani mangia cibo scaduto. Del resto cosa c’è da aspettarsi da gente che si beve di tutto (Gianni Macheda).
Abbassare le tasse non è né di destra né di sinistra, è solo giusto. Matteo Renzi (Giovanni Casadio. la Repubblica).
Dopo MafiaCapitale ho consigliato pubblicamente a Marino di dimettersi per poi ripresentarsi. Sarebbe stato lui a mandare a casa un sistema corrotto e anche evitare uno stillicidio drammatico per la città (Goffredo Bettini. il Foglio).
Roma è capoccia, caput mundi, soprattutto capitale. Non si può avere un unico sistema di trasporto (lo scooter). O strade con più buche che asfalto. Non si può avere una classe politica così misera come le vicende delle ultime settimane dimostrano (Silvia Truzzi. il Fatto).
Renzi sta pensando di inviare dei Tornado in Iraq per bombardare le postazioni dell’Isis. Forse invidioso di Putin e Obama, non vede l’ora anche lui di centrare un ospedale o la sede di qualche Ong. Dario Vergassola (Comico. il venerdì).
Nichi Vendola rivuole la Costituzione del 1948, quella di Terracini: il Sel dell’avvenire (Michele Magno. il Foglio).
Ho sempre cercato di farmi voler bene anche da chi mi era contro. Era un limite, per il lavoro che facevo (Walter Veltroni, Ciao. Rizzoli).
Se è vero che il 75% degli italiani paga il canone Rai che costa 113,50 euro, e tutti lo pagassero, come vorrebbe Renzi, il canone dovrebbe scendere a 85 euro. Perché allora il premier vuole portarlo a 100 euro? (Mattia Guida. Corsera).
La sinistra d’oggi è molto diversa dalla sinistra dei nostri tempi. È una sinistra pessimista (Saverio Vertone, Viaggi in Italia. Rizzoli, 1988).
Gli apodittici predicatori di certezze politiche, specialmente in Italia, dovrebbero far proprio il dubbio d’un saggio empirista inglese: «Penso a quello che dico quando dico quel che penso?» (Alberto Ronchey, Fin di secolo in fax minore. Garzanti, 1995).
Quando la salma di un componente della famiglia reale austro ungarica arrivava alla porta chiusa della chiesa dei Cappuccini, di dentro domandavano chi bussasse. Gli accompagnatori rispondevano col il nome dell’imperatore, o dell’arciduca. Da dentro ribattevano che in quel luogo non si conoscevano imperatori, né arciduchi. E allora, da fuori, pronunciavano il semplice nome del morto e la modesta porta si apriva (Pietro Buscaroli, Paesaggio con rovine. Camunia, 1989).
Ho letto adesso il libro di Friedman. Bello. Non ho mai letto un libro così bello. Domani lo compro ancora. Vorrei arrivare ad averne 25 copie (Maurizio Milani, scrittore satirico. Il Foglio)
Io ne avevo abbastanza dei colleghi della stampa americana, grandi, grossi e rumorosi, infantili e di mezza età, e pieni di battute acide all’indirizzo dei francesi, che, in fin dei conti, erano quelli che combattevano questa guerra in Vietnam. Periodicamente, dopo che uno scontro si era concluso come doveva e che i caduti erano stati rimossi dalla scena, venivano tutti convocati a Hanoi, a circa quattro ore di volo, dove il Comandante in capo francese teneva loro un discorso. Venivano poi alloggiati per una notte al Campo Stampa, dove, così sostenevano, c’era il miglior barista dell’Indocina. Erano fatti volare sull’ultimo campo di battaglia a un’altezza di mille metri (limite di tiro per una mitragliatrice pesante) e infine consegnati sani e salvi, e rumorosi, come dopo una gita scolastica, all’Hotel Continental di Saigon (Graham Green, L’americano tranquillo. Mondadori, 1957).
Adolescente, andavo a fare lezione di armonia da quello che sarebbe diventato il grande compositore Roberto De Simone. Abitava con la madre in una casa popolare a Fuorigrotta, a Cavalleggeri Aosta. Io arrivavo verso le undici e mezzo; lui dormiva ancora. Si sentiva provenire dall’interno la voce della Mamma: «Robbe’, scetate, sta ’o Signurino!» («Robbe’, svegliati, c’è il Signorino!») Dopo molti tentativi infruttuosi, De Simone compariva, già vestito. Infatti vestito con tutte le scarpe s’era coricato. Ma poi le lezioni erano di eccezionale livello (Paolo Isotta, La virtù dell’elefante. Marsilio. 2014)
I vecchi mantengono l’ordine devozionale alla messa delle otto e trenta (8.30), la domenica all’albeggiare, si vestono con un certo senso del limite, mento ben rasato, schiuma al mentolo col pennello in ottone, rasoio fascista, colonia degasperiana sul colletto della camicia, borsello, visi pingui ma composti che si riflettono nello specchio ovale della grande camera matrimoniale scampata alle granate della Battaglia del Solstizio (Basso Piave, giugno 1918), onest’uomini che prendono la comunione, si fanno il segno della croce, «in alto i nostri cuori, sono rivolti al Signore», le loro signore stanno al loro fianco da quarant’anni (40) da sempre, a braccetto, con la cottola cucita a mano, il pizzo, quattro centimetri di tacchi tetragoni, gli spicci per l’offerta, i fiori sempre freschi in soggiorno, il foglietto parrocchiale, sulla credenza, in salotto, mezza mucca stipata nel freezer, un ballo liscio alla Madonna del Colera (Francesco Maino, Cartongesso. Einaudi, 2014).
La figlia di Giuliani era tanto affiatata con noi maschi che volle fare pipì in piedi contro l’albero e sua madre la prese a schiaffi. Era una dei nostri. Combatteva bene, puzzava di canottiera e non frignava. Poi subì una modificazione femminile e nidificante: le prese la smania di giocare a moglie e marito. Poi Giuliana Giuliani, approssimandosi in lei la rivoluzione ormonale, diventò di colpo incapace di salire sugli alberi e di manovrare la fionda. Alla fine gorgolgiava continuamente caro di qua e tesoro di là, amore mio è pronta la cena e vieni che è tardi (Roba da vomitare. Paolo Guzzanti, I giorni contati. Baldini&Castoldi, 1995).
Casimiro – A novant’anni abbondanti / come un’anguilla fuggivi /a sfalciare sotto la vigna, /mentre figli e nipoti facevano la siesta. / Magro, svelto, selvaggio, tu che venivi / dalla miseria del Po, analfabeta, innocente, giocoso. / Per te la vita era un festa, / anche nei tempi di magra più neri. / Chiedevi poco, mangiavi di meno – un po’ di zuppa col vino, / due uova, una mela – / poi andavi in mezzo ai campi (Giovanni Ziliani, La compassione dei vinti. Nephos edizioni, 2004).
Gli amanti si dicono sempre le stesse cose. Anche per questo gli amori finiscono tutti nello stesso modo. (Roberto Gervaso. Il Messaggero).