la Repubblica, 20 ottobre 2015
Parla Wolfgang Rihm. «La musica definita leggera è per me problematica perché sento pesante la sua aspirazione alla leggerezza»
È forse il massimo compositore internazionale del presente: il più prolifico, richiesto e comunicativo. Wolfgang Rihm, tedesco di Karlsruhe, nato nel 1952, spicca come personaggio di assoluto riferimento nella musica contemporanea. Noto per indipendenza di pensiero e ricchezza d’espressione, è stato fra l’altro appena nominato “compositore residente” al Teatro dell’Opera di Roma. La sua musica spiritualmente “alta” ed emotivamente coinvolgente è probabilmente la più eseguita dalle istituzioni musicali oggi nel mondo. Già negli anni Settanta il giovanissimo Rihm emerse con lavori di evidente autonomia, lontani dalle ideologie musicali dominanti nel periodo post-bellico, ma anche opposti alle tendenze nostalgiche degli iper-conservatori. La sua poetica, che non azzera la tradizione ma la rinnova, è cresciuta con determinazione originale, sospinta dall’urgenza di lanciarsi nella società e nella storia. I filtri del distacco intellettualistico sono estranei a Rihm, anzi: considera l’impatto emotivo una priorità. «Quando scrivo non mi sforzo di mostrare l’architettura dell’opera», spiega. «Preferisco immergermi nel flusso cangiante delle forme ed essere trascinato». Affrontiamo i temi che più gli stanno a cuore in occasione di una sua prima assoluta, il quartetto Geste zu Vedova. Debutto domani a Venezia, nel Magazzino del Sale restaurato da Renzo Piano, per l’apertura del ciclo “Vedova e l’avanguardia musicale” (fino al 24), presentato dalla Fondazione intitolata al pittore Emilio Vedova. Il programma, curato da Mario Messinis, esplora intrecci possibili tra l’arte di Vedova e protagonisti della musica novecentesca quali Nono, Kurtág, Stockhausen e Schönberg. Per il suo nuovo pezzo, Rihm segnala d’essersi ispirato «ai gesti energetici e alle linee verticali di Vedova, articolate impetuosamente come un tumulto di segni neri», aggiungendo che persino nell’aspetto fisico il pittore «ricordava una verticale fiammeggiante. Pareva conficcarsi in terra come un fulmine nero».
Come può la musica riflettere la pittura?
«La musica non ha la forza simbolica e diretta di un’opera pittorica. È troppo ambigua. Ma è proprio la sua ambiguità a penetrare in noi, a volte come un veleno».
Un veleno che lei utilizza in modo fertile! Nel 2010 il Festival di Salisburgo ha presentato un monumentale omaggio monografico al suo lavoro, “Continente Rihm”, un tributo senza precedenti...
«Le mie opere sono molto diverse fra loro e si possono quindi creare grandi serie programmatiche senza il rischio di reiterazioni. Negli anni si è sviluppato un repertorio anche grazie ad approcci differenti realizzati da ottimi musicisti. I pezzi assumono vita propria, il che dimostra la natura vitalissima della musica».
Si sa che lei polemizzò con la Scuola di Darmstadt, centro dell’avanguardia più radicale del secondo Novecento. Eppure fu a Darmstadt che lei studiò con Stockhausen.
«Non m’interessa quanto viene etichettato come “scuola”. I miei soggiorni a Darmstadt furono comunque stimolanti. Una volta Stockhausen, in modo rassegnato e ironico, mi disse: “Tanto tu fai sempre ciò che vuoi”. Sono figlio di quell’avanguardia i cui custodi di seconda fila mi guardavano in cagnesco. In seguito Stockhausen m’incitò dicendo: “Segui sempre la tua voce interiore!”. Frase divenuta il mio mantra».
Come valuta il pop e il rock?
«La musica definita leggera è per me problematica perché sento pesante la sua aspirazione alla leggerezza. Confesso di conoscere poco il pop e il rock. Bisogna avere competenze specialistiche per godere dei movimenti di un modello ritmico che ha battute rigidamente lineari. Ed è necessario vivere una vita legata al mondo della musica pop per capirne il sound. Conduco un altro tipo di vita musicale che mi piace assai di più».
Deve ammettere che la ricezione del pop è ben diversa da quella della musica contemporanea.
«Ovvio. Nella musica d’arte l’esecuzione è l’obiettivo e non il mezzo di una strategia pubblicitaria. Un brano pop va suonato molte volte per poter essere recepito».
Lei è attivissimo come docente. Può parlare degli orientamenti prevalenti nelle nuove generazioni e degli ostacoli che s’incontrano nel comporre?
«Nei giovani compositori vedo individui e non membri di una generazione. Le difficoltà sono sempre le stesse: cerchiamo di creare oggetti musicali non previsti né condizionati da “norme vigenti”. Oggi come ieri, ogni autore vuol esprimere una posizione capace di trasmettere qualcosa di peculiare».