la Repubblica, 20 ottobre 2015
Parla Remo Ruffini di Moncler e spiega il raddoppio degli utili in due anni. «La Cina va bene lo stesso. I cinesi fanno shopping in Giappone per via della moneta»
MILANO.
A due anni dalla quotazione a Piazza Affari di Moncler, Remo Ruffini ha mantenuto le promesse raddoppiando gli utili e il titolo, a dispetto della crisi della Cina, resta sopra i valori dell’Ipo.
State per inaugurare un mega negozio a Tokio, perché puntate sul Giappone?
«Il Giappone è da sempre uno dei nostri principali mercati di sbocco, è il secondo per importanza dopo l’Italia. Inoltre inauguriamo a Ghinza il secondo flagship al mondo perché avere un grande negozio a Tokyo è importante per intercettare la nostra clientela cinese».
Da quando i cinesi fanno shopping in Giappone?
«Da quando lo yen si è deprezzato del 20% rispetto allo yuan. Più che l’andamento dell’economia, sono le dinamiche dei cambi a guidare lo shopping dei consumatori di lusso. Anche l’Europa che soffriva da anni si è ripresa quando l’euro si è indebolito. Quanto alla Cina, che per noi è un mercato piccolo, fino a luglio andava molto bene poi in agosto abbiamo iniziato a sentire un cambio di passo. Ma in valore assoluto non abbiamo perso i nostri clienti cinesi, ciò che personalmente ritengo più importante. Fidelizzare un cliente è il modo per costruire il futuro del marchio».
E l’Italia come va?
«Dopo tre anni difficili, vediamo segnali positivi. Non solo nelle città che sono mete tristi che come Roma e Milano, ma anche in provincia. Segno che i consumatori stanno recuperando un po’ di fiducia».
Ma quanti piumini si può comprare un cliente all’anno?
«Non importa, quello che conta è che dopo aver usato e consumato una giacca, il cliente abbia voglia di tornare a comprarne un’altra perché l’ha trovata di qualità».
Per questo motivo non fate i saldi? Gli investitori sono preoccupati che presto li farete come le altre griffe… «Gli investitori non devono preoccuparsi, e per rispetto ai nostri clienti non mettiamo i capi in saldo. Se un prodotto è di qualità e non segue la moda, non c’è bisogno di scontarlo per venderlo».
Cosa è cambiato in Moncler da quando siete quotati?
«Ho sempre gestito l’azienda insieme ad altri soci. Prima il 100% del capitale si riuniva attorno a un tavolo, oggi devo girare il mondo per incontrare investitori che ne hanno una frazione. La cosa positiva è che tanti fondi che hanno comprato e venduto sono tornati ad investire dopo aver costatato che, se per un trimestre il risultato non era quello sperato, a medio termine abbiamo rispettato ciò che avevamo dichiarato».
Ma come si fa a essere imprenditore di lungo termine se gli investitori lo sono di breve?
«Da quando siamo quotati ho cercato di non guardare al fatturato, per non spingere troppo il prodotto. Il mio obiettivo resta creare valore per il marchio. Per questo abbiamo investito fin da subito in mercati più difficili come gli Usa, dove sapevamo che c’era un potenziale sostenibile, piuttosto che in altri più facili come la Cina, dove la percezione del brand è inferiore. E per il futuro vogliamo continuare a fare più qualità, più prodotti e ancora più durevoli».
Pensate a un’estensione del brand come ha fatto Burberry partendo dall’impermeabile?
«Me lo chiedono in molti, ma se inizieremo a diversificare la nostra produzione oltre la giacca, lo faremo per gradi, pian piano. Perché non vogliamo né tradire, né confondere il consumatore, continuando ad assicuragli una qualità eccelsa sul nostro capospalla».
Negli occhiali però siete passati dalla joint venture con Allison alla licenza Marcolin «Vero, ma dopo tre anni, quanto è durata l’alleanza con Allison, ci siamo resi conto che l’occhialeria è un settore a sé. Allora ci siamo rivolti a un nuovo partner di qualità per mantenere un distribuzione selettiva e un prodotto curato».
Per avere più flessibilità e diventare ancora più grandi, non è l’ora di spingere sulla produzione?
«Ci stiamo pensando, vorremmo comprare alcune fabbriche di qualità che abbiano un forte know how. Ci piacerebbe investire in una produzione ancora più alta, per brevettare nuove soluzioni. Stiamo cercando qualcosa di selettivo per coprire un 10-15% del nostro fabbisogno. E mentre stiamo esaminando qualcosa da comprare, abbiamo già trovato il nome, lo vorremo chiamare Clinique Moncler, perché sia un luogo di sperimentazione di nuove tecniche. Ma anche in questo caso, inizieremo per gradi, e lo faremo ponendo l’attenzione sul prodotto e sui nostri clienti».