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 2015  ottobre 20 Martedì calendario

Storia di Rashid che a Calais, guadagnando un mucchio di soldi, aiuta quelli del tunnel a passare dall’altra parte

CALAIS.
L’appuntamento è in uno dei bar che affacciano sulla place d’Armes. «Questo è il mio ufficio, che apro solo la sera, all’ora dell’aperitivo», dice Rashid, chiamiamolo così, di professione passeur, ovvero trafficante di esseri umani. «Ma non mi confonda con quei criminali che caricano disgraziati nella stiva delle loro barche malconce per mandarli a morire in mare. Io assisto chi vuole arrivare in Gran Bretagna, azzerando i rischi di finire sotto a un treno, com’è di nuovo accaduto pochi giorni fa a un giovane sudanese e come può accadere a ognuno di questi poveracci», aggiunge, indicando gruppi di ragazzi, per lo più siriani, che dall’alba al tramonto sostano sfaccendati nella piazza centrale del porto di Calais, la Lampedusa dell’Atlantico. Quando gli domandiamo se non prova rimorso a speculare sulle disgrazie altrui, Rashid risponde ridacchiando: «Ma figuriamoci, il mio è quasi un lavoro umanitario». Capelli corti e barba ben curata, il trafficante ha l’aria d’un bravo ragazzo. Indossa jeans e giubbotto di cuoio, come la maggior parte di quelli che sostiene di aiutare, ma al polso ostenta un vistoso orologio di marca. Fino a pochi mesi fa anche lui era uno dei tanti profughi ammassati sulle coste del nord del Francia con la speranza di raggiungere clandestinamente l’Inghilterra. «Ho cominciato a fare questo lavoro per pagarmi il passaggio, ma poi mi sono reso conto che è un’attività davvero redditizia. Smetterò appena avrò messo da parte i soldi per aprire un’attività dall’altra parte della Manica». Rashid pone subito una condizione alla nostra chiacchierata. Non dirà una sola parola dell’organizzazione per la quale lavora, di cui sostiene essere soltanto l’ultima pedina, «perché chi parla viene fatto a pezzi e dato in pasto ai cani». Gli chiediamo allora del suo lavoro e lui risponde che consiste da un lato nello scovare nuovi “clienti”, e dall’altro, una volta pagato il “viaggio”, agevolare il loro passaggio oltre Manica. Oggi, secondo Europol, i guadagni delle organizzazioni criminali simili a quella per cui lavora Rashid, siano esse turche, curde o albanesi, superano quelli derivanti dal traffico di droga. E si stima che i trafficanti di uomini siano circa 30mila. I nuovi “clienti” Rashid dice di rimorchiarli «come farebbe una prostituta», passeggiando per le strade del centro di Calais. Se serve si spinge fino in periferia, alla cosiddetta “giungla”, quell’improvvisata bidonville alle porte della città, tutta fossi e immondizie, dove sopravvivono almeno seimila profughi, ai quali le autorità francesi servono un solo pasto al giorno. «Come faccio per farli arrivare in Inghilterra? Dipende da quanto sono disposti a pagare. I sudanesi e gli eritrei sono quelli che sborsano meno, i siriani e gli iracheni sono invece i più facoltosi. Diciamo che se per i primi la tariffa si aggira intorno ai 500 euro, per gli altri può superare i 2000 euro. Con quei soldi sono in grado di farli entrare nel rimorchio di un camion, a volte anche con l’assenso del camionista il quale, quando fiuta l’affare, percepisce anche lui la sua quota», spiega Rashid. «Interveniamo la notte, nei parcheggi o nelle aree di servizio, anche a decine di chilometri da qui. E siccome la polizia non dispone di uomini a sufficienza per controllarli tutti, al momento abbiamo il 50 per cento di riuscita», dice ancora il passeur, il quale racconta di organizzazioni di trafficanti cinesi che vantano il 100 per cento di successo. Ma in quel caso il transito può costare anche quarantamila euro a testa, che servono a comprare passaporto e patente falsi ma anche a corrompere il camionista, il quale ti lascia il posto accanto a lui, facendoti passare per co- guidatore. «In alcuni casi, per rendere tutto più credibile, ti insegnano perfino a guidare un Tir», racconta Rashid. Oggi, chi cerca di passare individualmente ha poche chance. «Li riconosci da lontano perché indossano anche tre giacconi uni sugli altri, per proteggersi dal freddo e dal filo spinato delle recinzioni. S’incamminano a piedi dalla “giungla” verso Coquelles, all’ingresso del Tunnel, che da qui dista una decina di chilometri. I pochissimi che ce la fanno, appena sbarcano devono spogliarsi in fretta per non farsi subito riconoscere. Gli altri, che sono la grande maggioranza, devono reputarsi felici quando vengono arrestati, perché molti finiscono sotto a un treno e muoiono o restano storpiati a vita. Per non parlare delle mogli o delle figlie dei clandestini, che sono spesso usate come merce di scambio per un transito. Perciò sono sempre più numerosi quelli che si rivolgono a noi». Il sogno di Rashid riposa su un preciso piano economico. Presto smetterà di imbarcare clandestini per salire lui stesso sul rimorchio di un tir. «Arriverò a Londra o a Manchester abbastanza ricco per aprire il mio ristorante o la mia palestra. Altrimenti c’è il rischio che dopo tanti sforzi, una volta arrivato lì i poliziotti inglesi mi arrestino e mi sbattano fuori». Per questo dopo mezz’ora ci chiede di pagare le consumazioni e di lasciarlo lavorare. Nella place d’Armes ha appena individuato due possibili clienti.