La Stampa, 20 ottobre 2015
Guardando laggiù, nell’invisibile mondo delle nanostrutture, si capisce che la divisione del mondo tra esseri viventi e esseri non viventi non ha più senso (con un ricordo di Richard Feynman)
Il 29 dicembre 1959, al California Institute of Technology, Richard Feynman, futuro premio Nobel, uno dei geni del XX secolo, pronuncia davanti a una platea di scienziati del tutto impreparati a cogliere la sua prospettiva, il celebre discorso: «There’s Plenty Room at the Bottom», ovvero «C’è un sacco di spazio laggiù in fondo». Feynman ipotizza la nascita delle nanotecnologie immaginando circuiti composti di soli sette atomi.
Sono trascorsi più di 50 anni e quella idea ha sviluppato un campo di indagine in cui biologi, fisici e chimici si sono avventurati creando materiali e soluzioni tecnologiche davvero imprevedibili. Mark Miodownik, ingegnere di materiali, docente presso lo University College di Londra, seduto a un tavolino sulla terrazza della sua abitazione inglese, sullo sfondo lo Shard, il più alto grattacielo europeo dall’inconfondibile forma a punta, prova a mettere in scena in
La sostanza delle cose (Bollati Boringhieri, pp. 249, € 22) questa incredibile rivoluzione tecnologica che sta modificando le nostre vite.
In prima persona
Tutto quello che riguarda le nanotecnologie si trova al di fuori della portata dei nostri occhi, in uno spazio profondo, come aveva ipotizzato Feynman, nel campo dell’invisibile. Miodownik ha esemplificato, riferendosi a cose che indossa e utilizza, la storia di alcuni di questi materiali, scegliendo i più consueti come acciaio, cemento, plastica, carta e vetro, e altri meno, come aerogel o grafene. L’intento dell’ingegnere inglese è narrativo; ha miscelato la spiegazione della struttura dei materiali con sue vicende personali, una forma di storytelling, oggi uno dei modi più diffusi per comunicare al pubblico dei lettori questioni scientifiche e tecnologiche complesse.
Per esempio il cemento
In effetti, solo per restare al campo individuato da Miodownik, noi sappiamo ben poco dei perché e del come di molti dei materiali che ci circondano, a partire dal cemento, su cui è caduto negli ultimi decenni un interdetto, ma che in realtà è alla base delle moderne abitazioni.
Il modo con cui viene realizzato non è affatto banale: carbonato di calcio, silicati, acqua, calore, ma anche rocce ricche di alluminio e ferro. Il cemento diventa in una fase della sua trasformazione un gel, come quelli applicati sui capelli, che contiene un’ossatura di fibrille di silicato di calcio idratato. Il susseguirsi di reazioni chimiche ben guidate fa sì che le fibrille – viste al microscopio sembrano filamenti di un vegetale – s’intreccino tra loro formando legamenti e intrappolando quantità sempre maggiori di acqua, passando da uno stato gelatinoso a uno solido: il calcestruzzo. Tutto questo non è visibile a occhio nudo; avviene in una zona dove dominano atomi e legamenti molecolari.
Nessun materiale che ci circonda è monolitico e uniforme: è formato «da molte entità che danno vita al tutto, e queste entità si manifestano a diversi ordini di grandezza». L’immagine della matrioska è perfetta per descriverlo: ogni materiale contiene strutture via via più piccole che s’incastrano l’una nell’altra e che nella maggior parte dei casi sono invisibili a occhio nudo. Possediamo microscopi e strumenti in grado di manipolare le strutture a livello nanometrico, ovvero là dove s’aggregano gli atomi formando strutture più ampie. La macroscala, situata alla soglia del visibile, raggruppa le strutture atomiche, le nanostrutture e le microstrutture.
Macro, micro e nano
Lo schermo del cellulare, ad esempio, è una macrostruttura; presenta un aspetto levigato; se ci cade sopra una goccia d’acqua funziona come una lente d’ingrandimento: sotto ci sono minuscoli pixer rossi, verdi e blu (le microstrutture). Questi cristalli liquidi possono essere manipolati e mescolati in maniera tale da rappresentare tutti i colori dello spettro visibile, possono essere accesi o spenti velocemente, così da rendere possibile la visione di un filmato. Più sotto ancora ci sono le strutture atomiche. Assemblando un centinaio di atomi si ottiene una nanostruttura che è un miliardo di volte più piccola di noi. Abituati a pensare il nostro rapporto con le cose attraverso le mani – oggetti che stanno in una mano, che si afferrano con le mani, che si toccano con le mani – è difficile pensare lo spazio-laggiù-in-fondo, che non possiamo praticare se non con strumenti che sono protesi infinitesimali di noi stessi.
La novità sconvolgente non è però questa, quanto piuttosto che esplorando questo spazio ci si è accorti che i materiali sono in grado di riorganizzarsi da soli. Laggiù le forze fisiche dominanti – forze elettrostatiche e la tensione superficiale – che legano tra loro le cose sono fortissime, mentre le forze che riguardano il nostro mondo quotidiano sulla superficie della Terra – le forze gravitazionali – sono piuttosto deboli. Nell’ordine di grandezza di un’automobile l’attrazione gravitazionale della Terra è decisiva, nello spazio infinitesimale no; inoltre lì i materiali si assemblano e si autoriparano grazie ad altre forze.
Ciò che ci rende umani
Quando al liceo ho studiato biologia, oltre 40 anni fa, poco dopo l’epoca in cui Feynman pronunciava il suo discorso, il mondo si divideva tra esseri viventi e organismi non viventi, come rocce, utensili, edifici, materiali. Oggi, come mostra Miodownik, questa divisione non ha più senso. Se seguiamo l’autore di questo libro, in futuro avremo uomini e donne bionici dotati di organi, ossa e perfino cervelli realizzati con nuovi materiali sintetici. Per fortuna a renderci umani non è solo la materia, ma anche lo spirito, espressione che Miodownik non usa, ma con cui nel corso del XIX e XX secolo si sono indicate realtà estetiche e culturali che abbiamo elaborato nel corso della nostra evoluzione. Non si trovano laggiù-in-fondo, eppure rivestono per noi significati fondamentali: fanno parte della nostra inalienabile identità umana.