La Stampa, 20 ottobre 2015
In attesa del voto in Polonia (domenica prossima) le destre avanzano in Svizzera e in Austria. Ritratto di Cristoph Blocher, nemico dei migranti e della Ue, la cui figlia, eletta trionfalmente, ha sposato un emigrato di Benevento
Meglio cominciare ad abituarsi agli eccentrici. Non sono più meteore trascurabili. Meglio prendere confidenza col miliardario svizzero che dal suo castello dalle mura spesse e dal nome impronunciabile, Rhäzüns, tuona da anni in dialetto e costume tradizionale svizzero contro gli stranieri e l’Europa. Oltretutto, in un Paese per il quale la Ue è il primo partner commerciale e che ha tassi di immigrazione risibili, rispetto alle grandi ondate degli ultimi mesi osservate altrove. Da quel castello incastrato tra le Alpi, Christoph Blocher sta inanellando un successo dopo l’altro.
Le Pen elvetica
L’anno scorso a febbraio ha vinto il referendum isolazionista che vuole sprangare l’ingresso dei Cantoni ai migranti, anche europei. Domenica il suo partito, l’Unione di centro-Svp ha guadagnato quasi tre punti, sfiorando il 30% dei voti. E nei Grigioni del suo castello affacciato su un affluente del Reno, gli svizzeri hanno compiuto una scelta dinastica regalando un trionfale ingresso in Parlamento alla figlia, Magdalena Blocher Martullo. È presto per dire se possa davvero diventare la «Le Pen» elvetica; il padre, che già nel 1992 contribuì a impedire alla Svizzera di entrare a far parte dell’unione economica europea, resta l’incontrastato patriarca del partito. Sposata con un immigrato italiano di Benevento, la 46enne ha sbaragliato gli avversari in un Cantone importante: quello della ministra delle Finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, uscita anni fa – dopo violenti polemiche – dal partito di Blocher per fondare i centristi della Bdp e finita nel mirino dei populisti perché ha contribuito a far cadere un bastione della ricchezza svizzera: il segreto bancario.
Da qui a governare il Paese con slogan talmente semplicistici da sfiorare il grottesco – «essere liberi» è quello principale della campagna elettorale – ce ne passa. Anche perché la Fdp, l’altro partito di destra che ha guadagnato consensi (ha superato il 16%), almeno si pone il problema del post referendum, suggerendo accordi bilaterali con alcuni Paesi della Ue. E ha messo la testa su un altro problema che angoscia gli imprenditori svizzeri: quello dell’apprezzamento del franco. Molti vorrebbero misure che facilitassero lo spostamento della produzione all’estero. In prospettiva, queste differenze sostanziali tra le due destre svizzere potrebbero rendere complicate alleanze.
Ma intanto fa riflettere lo spostamento a destra della Svizzera: il consolidamento di uno spirito anti-europeista, la volontà espressa di tenersi fuori dalle rotte dei rifugiati.
Da Vienna a Varsavia
C’è poi lo scivolamento verso derive populiste della vicina Austria. Le elezioni di una settimana fa per il sindaco hanno riconfermato il socialdemocratico Haeupl regalando tuttavia ai populisti di destra della Fpoe il miglior risultato della storia. Contrariamente alla Svizzera, l’Austria è al centro dei flussi dei rifugiati arrivati soprattutto attraverso i Balcani. È molto difficile considerare episodiche le avanzate di queste destre in Paesi tutto sommato risparmiati dagli effetti più devastanti della crisi – come la Francia di Marine Le Pen, del resto. E domenica un altro Paese dove si vota per il rinnovo del Parlamento rischia di far masticare amaro gli europeisti: la Polonia.