MilanoFinanza, 17 ottobre 2015
Sir Alex Ferguson si racconta. Storia di una leggenda del mondo del calcio che a settantatre anni si è trasformato in un saggio uomo di management
Sir Alex Ferguson si è trasformato da leggenda del mondo del calcio a saggio uomo di management, o almeno questo è il piano. A settantatre anni, dopo aver vinto 38 trofei in 26 anni come allenatore del Manchester United, ha appena pubblicato il suo terzo libro Leading: Learning from life and my years at Manchester United, scritto a quattro mani con Michael Moritz, il vertice di Sequoia Capital.
Il volume è una raccolta di 400 pagine di aneddoti e riflessioni racimolati negli anni di esperienza da giocatore e allenatore e riorganizzati sotto forma di lezioni per ogni momento della vita, dallo stimolo all’eccellenza allo sviluppo di nuovi talenti all’interno di un’organizzazione.
Per esempio, racconta di una partita del 2001 contro il Tottenham in cui lo United a fine primo tempo stava perdendo 3-0. Nello spogliatoio, Ferguson ha detto ai giocatori che erano in un «regale casino», ma al posto di implorarli di fare quattro reti nei successivi 45 minuti, ha ordinato: «Segnate il prossimo goal e vediamo dove ci porterà». In questo modo, ha fornito alla squadra un obiettivo raggiungibile. Alla fine, lo United ha segnato cinque volte e ha vinto 5-3.
La scorsa settimana a New York, dove tiene un corso presso la Harvard Business School, Sir Alex ha discusso gli elementi della propria filosofia di gestione, il motivo per cui il Chelsea sta avendo difficoltà in questa stagione, e perché gli sarebbe piaciuto andare a cena con John F. Kennedy e Abraham Lincoln.
Domanda. Quando si è reso conto di essere più che un allenatore?
Risposta. Nei primi anni ho cercato di fare tutto da solo, ma quando si invecchia si cerca di trovare il modo per conservare le energie, quindi delegavo molto di più. A quel punto mi sono accorto che la mia personalità, la mia esperienza e la mia leadership erano le qualità che mi venivano riconosciute maggiormente da tutti.
D. È sempre stato il suo obiettivo diventare il manager di un grande club?
R. La mia priorità era semplicemente resistere. Mi sono accorto di essere bravo a far crescere i giovani. Quindi ho iniziato a credere nei giovani. Penso che quando si dà un’opportunità a un ragazzo, crederà sempre in chi gli ha accordato la sua prima opportunità. Si crea un rapporto di fiducia che dura tutta la vita. Inoltre, quando c’è un reflusso costante di giovani, la pianificazione acquisisce maggiore longevità.
D. Se iniziasse oggi al Manchester United le sarebbe concesso il tempo per sviluppare la squadra che prenderebbe in carico?
R. I primi due anni e mezzo la prima squadra non andava molto bene, ma la fondazione del club stava crescendo a un ritmo sostenuto. Questo fattore mi ha dato il tempo e la fiducia del consiglio, che riteneva stessi lavorando bene.
D. Ritiene che nel calcio di elite di oggi ci sia una gestione eccessivamente focalizzata sul breve periodo?
R. Focalizzarsi sul breve periodo non paga. Non esistono prove a dimostrazione del fatto che cambiare ripetutamente gli allenatori porti al successo, bensì c’è la dimostrazione del Manchester United, che ho allenato per 26 anni e con cui ho vinto 38 trofei. Oppure l’esempio di Brian Clough al Nottingham Forrest e di Arsène Wenger all’Arsenal. Poi c’è il Liverpool che cambia allenatore dopo otto partite. Se non si crede in lui, allora perché non esonerarlo in estate?! Perché aspettare otto settimane a stagione iniziata?
D. Se potesse uscire a cena con dei leader che hanno fatto la storia, chi sceglierebbe?
R. Sicuramente sarebbe interessante cenare con JFK. Nel periodo compreso tra il 1960 e il 1963 ha gestito questioni come la Crisi di Cuba, la Baia dei Porci, la Guerra Fredda, il Vietnam, la segregazione e Medicare. Non so se altri presidenti da allora hanno dovuto affrontare così tante tematiche con un simile peso. Per un giovane uomo era un’impresa, ma ha avuto personalità. Aveva un’immagine straordinaria, era un uomo affascinate, e naturalmente veniva da una famiglia celebre, quindi credo che fosse molto interessante. Ho letto un ottimo libro sulla squadra dei rivali di Lincoln. Dopo aver vinto le elezioni per la presidenza è stato geniale a tenere tutti gli oppositori al governo per essere sempre sicuro di dove fossero. Nessuno avrebbe mai fatto qualcosa di simile. Io non li avrei voluti intorno.
D. Visto che è un appassionato di guerra civile, ha usato dei riferimenti al linguaggio bellico nei discorsi alla squadra?
R. Ne ho usati molti sul genere della migrazione delle oche che volano in formazioni a due V. Quelle davanti volano, mentre quelle che seguono planano e poi i due gruppi si scambiano e volano per 4 mila o 5 mila miglia. Inoltre, ricordo una volta in cui sono andato a sentire Bocelli. La sua orchestra, il tempo, il ritmo. Sono andato in palestra la mattina dopo, ho raccontato dell’orchestra e ho detto che è esattamente quello che mi aspetto dalla squadra: ritmo, tempo, sintonia. E mi hanno guardato come se avessi tre teste.
D. Ha raccontato di aver gestito la squadra secondo cicli quadriennali. Perché?
R. L’anno scorso il Chelsea ha vinto il campionato. Noi l’abbiamo vinto tre anni di fila per due volte, ma non siamo riusciti a fare il quarto.
D. Secondo lei perché il Chelsea sta faticando praticamente con la stessa squadra che ha vinto il campionato lo scorso anno?
R. Il portiere si è infortunato. John Terry è leggermente calato ed è rimasto un po’ escluso. Questa è la differenza perché è un leader. È stato capitano per quanto? Dodici anni? Sta rallentando, ma torneranno. L’allenatore è troppo bravo.
D. Crede che le squadre inglesi abbiano difficoltà in Europa perché la competizione in casa è troppo impegnativa?
R. Sette anni fa abbiamo giocato a Roma un mercoledì sera e siamo andati benissimo, ma domenica dovevamo giocare all’ora di pranzo a Stamford Bridge. Quindi cosa abbiamo fatto al posto di tornare a Manchester e avere il venerdì per prepararci per Londra? Siamo rimasti una notte a Roma. Uno stupendo campo di allenamento per la preparazione. Ho pensato che stessimo facendo la cosa giusta, ma per una cosa giusta di quel genere ci servivano 72 ore. Abbiamo perso 2-1.
D. Le manca allenare?
R. Mi manca la squadra, mi mancano i giocatori, mi manca lo staff, ma penso di aver scelto il momento giusto. Era arrivata l’ora di lasciare, di trascorrere più tempo con mia moglie. In realtà, questo non vuol dire che sto di più con lei, perché mi butterebbe fuori di casa, ma facciamo colazione insieme, cosa che non abbiamo mai fatto prima d’ora.
D. Chi vincerà un mondiale per primo tra Stati Uniti e Inghilterra?
R. Gli Stati Uniti sono in crescita, una crescita rapida. Hanno dato impulso all’accademia calcio. Il Kansas ha un buon academy system: gli stadi sono molto belli. Negli Usa c’è una bella energia a guidare le persone e penso che in 12 anni di tempo assisteremo a un importante miglioramento.
traduzione di Giorgia Crespi