Il Fatto Quotidiano, 17 ottobre 2015
La tv del dolore paga i protagonisti delle cronache (nere) per alzare gli ascolti. A farsi la guerra sono soprattutto Rai1 e Canale5
Le ragazzine rom pagate per dichiarare la loro ricchissima attività di ladre, l’attore che una volta si traveste da trafficante di auto rubate e un’altra racconta di essere un musulmano che odia i cristiani, il testimone chiave del delitto intervistato per caso, ma in realtà d’accordo con la troupe televisiva. Non ci sono solo i tariffari stipulati con i familiari di Loris Stival, il bambino trovato strangolato il 29 novembre del 2014 a Santa Croce Camerina, in provincia di Ragusa.
Non c’è solo il pressing di Barbara D’Urso per convincere Carmela Anguzza, nonna del bambino, a raccontare in tv a “Pomeriggio Cinque” o a “Domenica Live” che la figlia Veronica Panarello le ha detto “guardandola negli occhi” di essere innocente. La chiamano “tv del dolore”, ed è il racconto dei fatti di cronaca nera attraverso l’esposizione mediatica massiccia dei familiari delle vittime, conoscenti, testimoni e periti di sorta. Un format che negli ultimi anni è andato per la maggiore, a cominciare dai plastici di Bruno Vespa sul delitto di Cogne, fino alle interviste immediate a Sabrina Misseri, pochi attimi dopo la confessione dello zio Michele sull’omicidio di Avetrana. L’obiettivo è sempre lo stesso: sbattere il mostro in prima pagina e conquistare punti di share a colpi di lacrime e confessioni.
I casi si sprecano, ma quando mancano ecco che arriva la “recita”. Succede probabilmente alle telecamere di “Mattino Cinque”, quando mandano in onda le parole di due ragazze rom che dichiaravano di riuscire a rubare anche più di mille euro al giorno. Poi hanno smentito tutto, raccontando di essere state pagate 20 euro per rilasciare quell’intervista. A smentire l’inviato di Paolo Del Debbio, ci ha pensato, invece, un’altra trasmissione di Cologno Monzese, “Striscia la notizia”: sullo schermo sarebbe andata in onda la stessa persona, spacciata prima da venditore rom di auto rubate, e poi da musulmano che dichiarava il suo assoluto disinteresse sullo sterminio dei cristiani. Il Biscione a quel punto non ha potuto fare altro che mettere alla porta il suo giornalista. Lo stesso ha fatto il programma di Antonio Ricci con gli ex inviati Fabio e Mingo, accusati di aver realizzato falsi scoop e finiti addirittura sotto indagine per simulazione di reato.
È sullo sfondo della tragedia del piccolo Lori, però, che è andato in onda il più completo repertorio di “tv del dolore”. Clamoroso il caso in cui il programma condotto dalla D’Urso propone un’intervista casuale a Orazio Fidone, il cacciatore che per primo trova il corpo del bambino nelle campagne del Ragusano: in realtà quell’incontro, spacciato per fortuito, sarebbe stato pattuito con la troupe. Poi, quando il nonno di Loris arriva ad essere conteso in diretta tra le inviate di Rai 1 e Canale 5, anche l’Ordine dei giornalisti interviene: “Basta con queste soubrette dagli occhi lucidi, l’informazione è materia delicata”, tuonava il presidente Enzo Iacopino, promettendo denunce per esercizio abusivo della professione.
Ed è dopo il caso Loris che l’Odg diffonde il contenuto della ricerca sulle “cattive pratiche della tv del dolore”, commissionata all’Osservatorio di Pavia. Dopo tre mesi di monitoraggio di tutti i programmi informativi, l’Osservatorio conclude che le reti più dedite alla “tv del dolore” sono Rai1 e Canale 5 (con un totale cumulativo pari al 70 per cento del totale), mentre le trasmissioni con maggiore criticità, sono proprio “Mattino Cinque”, “Pomeriggio Cinque/Domenica Live”, “Storie Vere” e “Chi l’ha visto?”, seguite da “La vita in diretta”, “Quarto Grado” e “Amore criminale”.
“È un quadro a tinte fosche”, spiegavano dell’Ordine presentando la ricerca. Nel frattempo dalle redazioni tv continuavano a partire promesse di regali e bonifici per i familiari di Loris in cambio d’interviste emozionanti a favore di telecamera.