il Giornale, 19 ottobre 2015
Dai tartufi di Laconi (Oristano) ai rubinetti di San Maurizio d’Opaglio (Novara), dai bottoni di Castelli Calepio (Bergamo) al petrolio di Viggiano (Potenza), fino alle sete di Borgo San Leucio (Caserta): da Nord a Sud, l’Italia è disseminata di piccoli e piccolissimi distretti specializzati in produzioni d’eccellenza, che in totale determinano il 20% delle esportazioni italiane nel mondo
Fiumata, provincia di Rieti. Un piccolo presepe arroccato sulle rive del lago del Salto. Quando va bene, 141 abitanti. Localizzarlo con il navigatore satellitare è impresa quasi impossibile eppure qui c’è qualcuno che ha deciso di conquistare il mondo. È una ragazza che un bel giorno ha rilevato l’attività di famiglia – serre tradizionali – per creare un business dall’altissimo valore tecnologico: lei realizza serre idroponiche, quelle che insomma permettono di coltivare un orto anche nello spazio. È partita dall’ombelico d’Italia e proprio qui ha coronato il suo sogno. Come lei hanno fatto tantissimi altri italiani, quelli che non hanno abbandonato i piccoli borghi. Anzi, hanno rilanciato trasformandoli in vere e proprie miniere. Ci si trova di tutto: dai rubinetti ai bottoni a pressione. Dal petrolio al tonno rosso.
SOTTO SOTTO...
Da Nord a Sud tutto il Paese è disseminato da distretti a volte minuscoli, specializzati in produzioni di eccellenza che vengono esportate in tutto il mondo. Così a Laconi, meno di duemila anime in provincia di Oristano, si coltivano alcune fra le migliori erbe officinali del Paese. Senza dimenticare il tartufo, che ha trasformato il piccolo borgo nelle Langhe di Sardegna. Qui è possibile trovare tuberi di tutti i tipi, dal nero di Norcia al bianco di Alba, che stanno richiamando sull’isola persone emigrate da anni in cerca di fortuna. Perché il business del tartufo è ricco, e per ora è gestito da una decina di famiglie che contano in totale circa venti raccoglitori. Nel cuore del meridione strozzato dalla crisi c’è invece Viggiano, che si è guadagnato il primato di borgo più ricco d’Italia. Il segreto di questo paesino di tremila abitanti in provincia di Potenza è nel sottosuolo: è pieno di petrolio. Il Comune percepisce qualcosa come nove milioni di euro di royalties derivanti dall’oro nero, che viene estratto da 25 pozzi disseminati sul suo piccolo territorio. Il risultato è che il paesino vanta opere pubbliche da città metropolitana, anche se il fattore inquinamento resta ancora un punto interrogativo. E poi, al largo della Sicilia, ci sono Favignana e Marettimo – arcipelago delle Egadi – che il loro preziosissimo tonno rosso lo esportano anche in Giappone. Al punto che la pesca è stata regolamentata da quote rigidissime, per non depauperare il mare.
TUTTO SU MISURA
Insomma, i borghi italiani sono una vera e propria risorsa per l’economia. E non soltanto in chiave turistica. «Il valore aggiunto di questi luoghi così remoti è il saper fare produttivo dei territori – spiega Maurizio Capelli, segretario generale dell’Associazione borghi autentici d’Italia -. L’Italia è piena di tesori nei suoi angoli più nascosti, piccole e medie imprese che producono eccellenze straordinarie che poi esportano in tutto il mondo». In totale il sistema produttivo dei piccoli centri abitati determina il 20 per cento dell’export italiano nel mondo. Con ben ottomila diversi prodotti e circa 800mila persone che lavorano o comunque hanno un interesse economico legato a queste risorse. «Gli esempi sono tantissimi, in Campania ci sono sarti che esportano il 90 per cento della loro produzione – prosegue -. A Melpignano, in provincia di Lecce, ce n’è uno ottantenne che serve i vip di tutto il pianeta: atterrano in aereo a Brindisi e vanno in fondo al tacco per farsi fare gli abiti da lui. L’Italia è piena di queste eccellenze, dal Friuli con la sua antica tradizione di sedie alla Sardegna, che produce tappeti amati in tutto il globo e maschere che i clienti ordinano con sei mesi di anticipo».
Insomma, basta scorrere la cartina dello Stivale per imbattersi in storie di ordinario successo. Come quello di Borgo San Leucio, in provincia di Caserta, dove ancora oggi alcuni artigiani producono sete preziosissime, o Lari – provincia di Pisa – dove una famiglia dal 1926 produce la pasta in modo artigianale, senza mai aver cambiato una virgola nella tecnica e negli ingredienti. Poi c’è il caso di Castelli Calepio (Bergamo) che è inserita a pieno titolo nel distretto industriale dei bottoni. Qui le imprese sono 70 e occupano circa 1.500 dipendenti con un fatturato che oscilla fra 150 e 200 milioni di euro l’anno. Sempre nella Bergamasca c’è Palosco, che invece è il borgo leader mondiale nella produzione di compassi. Per disegnare i cerchi perfetti qui arrivano da tutto il mondo, anche dalla Germania che compra i prodotti made in Italy e poi cambia il marchio. I ricavi, nonostante la crisi, sono importanti: 15 milioni di euro l’anno per un paese che complessivamente conta poco meno di seimila abitanti.
PROVINCIALI D’INGEGNO
«I borghi vincono proprio perché sono legati al territorio e alle tradizioni. I giovani che decidono di fare impresa sono paradossalmente più svegli di quelli cresciuti in città e possono contare su legami forti, sul senso di fiducia e su una forte identità, fattori che rappresentano un’arma fondamentale a livello di marketing», conferma Marina Puricelli, docente di Organizzazione all’università Bocconi di Milano, che ha appena completato un tour attraverso 35 piccoli borghi del Bel paese. «Nel mio viaggio ho incontrato molti ragazzi trentenni, che hanno deciso di restare in paese e di fare impresa nonostante tutto – prosegue -. Mi sono imbattuta in realtà incredibili, come quella di Lipomo (Como) dove il giovane Mario Isacco Sampietro porta avanti la tradizione del ferro battuto ma puntando tutto sul design, o come quella di Gargallo (Novara) dove in pieno distretto del rubinetto c’è una piccola azienda di calzature artigianali, creata da ragazzi under 30, che esporta in tutto il mondo». Poco distante, sempre vicino Novara, c’è anche San Maurizio d’Opaglio, solo 3.300 abitanti ma con un totale di 140 imprese e 4.500 dipendenti nel campo delle rubinetterie. Alla concorrenza cinese loro rispondono con la qualità, grazie alla quale riescono a mantenere vivo tutto l’indotto. «I borghi hanno una marcia in più – prosegue l’esperta -. La sedimentazione delle tradizioni e delle conoscenze è una sorta di eredità che non è immediatamente riproducibile in altre parti del mondo». Ma non finisce qui: «Nelle realtà di periferia ho visto un dinamismo, una vitalità e un’energia che ormai nelle grandi città italiane è persa. Oggi è davvero difficile pensare di fare impresa nel centro di Roma o di Milano. Mentre partendo dalla periferia si può crescere».
BRIANZA 2.0
Sono i numeri a confermarlo: le aziende con sede nei piccoli borghi assumono, in media, due persone l’anno. Senza differenze fra Nord e Sud. «Ormai in Italia si può fare impresa ovunque, dalla Maremma al Salento. Esattamente come negli anni Settanta avveniva in Brianza – conclude la docente -. Ci sono borghi, nel meridione, che potrebbero essere scambiati per la Svizzera per quanto sono ordinati, efficienti e puliti». I settori chiave sono arredamento, alimentari e automazione. Ma anche quelli più di nicchia, come per esempio la birra artigianale e la mobilità elettrica, danno grandi soddisfazioni. Anche sul fronte occupazione. «Di sicuro la ripresa del lavoro può passare anche da qui – conclude Capelli -. L’artigianato è stato uno dei pochi settori a uscire quasi indenne da sette anni di crisi, e questo soprattutto grazie alle eccellenze nascoste sul territorio. Certo non è sempre facile convincere le nuove generazioni a restare e investire nelle realtà periferiche. Lo sforzo adesso deve essere fatto proprio in questa direzione: aiutare gli artigiani a poter contare su nuove leve per portare avanti, e implementare, le tradizioni di famiglia».