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 2015  ottobre 17 Sabato calendario

Sull’incognita sull’andamento dell’inflazione

Il debito/Pil italiano che inizia dal 2016 a scendere, in maniera strutturale e sostenibile, è la notizia che i mercati attendono da anni. È la promessa del governo Renzi, ampiamente argomentata nel piano programmatico di bilancio inviato a Bruxelles, alla quale i mercati vogliono assolutamente credere, perchè è uno degli snodi imprescindibili per poter mettere la parola fine alla crisi del debito sovano nell’Eurozona. Ma un’inflazione bassa troppo a lungo, è capace di oscurare questo paesaggio idilliaco.
Tutto, a eccezione dell’incognita sull’andamento dell’inflazione (la vera bestia nera dei mercati in questo momento), concorre magicamente al calo del debito/Pil italiano: le proiezioni sulla traiettoria in discesa di questo rapporto si ritrovano infatti tanto nel documento del Mef quanto in molti report delle banche estere. Ieri le simulazioni di Citi Research mostravano come «anche con una crescita modesta, il rapporto calerà». Dando per scontata un’inflazione non al 2% ma comunque all’1,1% nel 2016.
Il debito/Pil diminuisce, nonostante il ritocco all’insù del deficit/Pil nella legge di stabilità, per numerosi fattori concomitanti: non solo il ritorno alla crescita e l’avanzo primario, ma anche il costo in continuo calo del servizio del debito pubblico. Quest’anno il costo medio alla raccolta (per oltre 410 miliardi di emissioni lorde di titoli di Stato) chiuderà al livello record dello 0,70-0,75%, contro l’1,35% del 2014 (già un primato assoluto). L’ombrello protettivo della Bce sta funzionando, intenzionata come è a potenziare gli acquisti dei titoli di Stato. Ci sono poi altri colpi ancora in canna della politica monetaria accomodante (un ulteriore taglio al tasso negativo della deposit facility della Bce per indebolire l’euro è nell’aria). Le una-tantum che negli ultimi anni hanno fatto aumentare lo stock del debito sarebbero inoltre finite (Efsf, crisi greca, rimborso dei debiti della pa) mentre la restituzione da parte di Irlanda e Portogallo dei prestiti concessi dall’ESM porterà a una lenta riduzione del debito. Favorevole al debito/Pil anche il ritorno della domanda di titoli di Stato da parte degli investitori esteri: nel Bollettino economico ieri la Banca d’Italia ha evidenziato come dall’inizio del 2015 la tendenza di ritorno degli stranieri è stata significativa: «tra gennaio e luglio gli acquisti netti di titoli pubblici sono stati pari a 56,7 miliardi». Alla fine di giugno la quota di titoli pubblici detenuti da non residenti era pari al 39,6 per cento (dal 38,1 alla fine dello scorso anno); secondo le stime Bankitalia, circa la metà dell’incremento è «attribuibile a investitori diversi dall’Eurosistema e che non rientrano nella categoria dei fondi esteri riconducibili a risparmiatori italiani», una variabile che invece in passato aveva gonfiato oltremisura la presenza di investimenti esteri.
«I mercati sono positivi sull’Italia in questo momento, per numerosi fattori: grazie al QE della Bce, non sono ossessionati dal deficit perché la sostenibilità del debito pubblico è aiutata dai tassi bassi e dalla liquidità abbondante», ha commentato ieri Fabio Fois, economista di Barclays, aggiungendo che «soprattutto viene apprezzato il modo in cui l’Italia sta crescendo, una crescita sostenuta dalla ripresa dei consumi e non solo dall’export che comunque tiene. Pensiamo però che l’Italia debba cogliere questo momento positivo e sfruttare l’ombrello della Bce per fare di più per aumentare la produttività sul breve termine e questo vuol dire, fra le altre cose, adottare ulteriori misure sul mercato del lavoro che favoriscano la contrattazione locale in modo da favorire l’allineamento fra salari e produttività come avvenuto, come in Spagna».
Le incertezze sull’andamento dell’economia in Cina, come anche in Germania e Usa, e in maniera più estesa tra i Paesi emergenti, pongono la ripresa economica italiana e il miglioramento del debito pubblico in un contesto comunque spinoso. A questo, si aggiunge l’inflazione che non riesce a salire, che è la condizione peggiore per un Paese altamente indebitato come l’Italia. L’inflazione, tra tutti, è il rimedio più efficace per demolire velocemente la montagna del debito pubblico. La politica della Bce, mirata a riportare l’inflazione attorno al 2%, è data per vincente nel documento presentato dall’Italia a Bruxelles. I mercati però sono più cauti. «L’inflazione che non c’è è in cima alla lista delle nostre preoccupazioni», scriveva ieri in una nota l’autorevole Llewellyn Consulting, ricordando che siamo entrati in un «nuovo ordine», dovuto alla rivoluzione nei bilanci delle banche post-crisi, all’invecchiamento della popolazione, all’aumento dell’ineguaglianza, l’impatto della tecnologia sul mercato del lavoro, alla perdita strutturale di dinamismo dei paesi emergenti.