Il Domenicale del Sole 24 Ore, 18 ottobre 2015
La Olivetti P101, l’ennesima occasione perduta per l’impresa e il Paese
Le Edizioni di Comunità ripubblicano uno dei classici – fra i più riusciti e meno languorosi – della vasta memorialistica composta in questi anni dagli “olivettiani”, quell’eterogeneo insieme di ex dirigenti e impiegati, tecnologi e uomini di cultura che hanno lavorato e vissuto nella fabbrica di Ivrea.
Il volume è P101. Quando l’Italia inventò il personal computer di Pier Giorgio Perotto.Con Perotto, scomparso nel 2002, siamo nel pieno della realtà storica e della mitologia olivettiana. Perotto, a lungo capo della ricerca, è il protagonista dell’esperienza tecnologica e industriale raccontata in questo libro, uscito per la prima volta nel 1995: l’ideazione e la fabbricazione di quello che viene considerato l’antesignano del computer da tavolo. Funzionalmente la P101 è programmabile in un linguaggio Basic semplificato, registrato su una scheda magnetica estraibile che contiene anche i dati, l’equivalente del futuro floppy-disc. A questo prodotto mancano solo il video e la tastiera alfabetica. «Sognavo un computer semplice, che non avesse bisogno dell’interprete in camice bianco. Una macchina piccola, economica e per tutti», scrive Perotto.
La P101 è uno dei passaggi simbolici del Novecento italiano, perché racchiude tutta la forza e le potenzialità, ma anche il limite e l’incompiutezza di un Paese, prima che di una impresa. Perotto descrive il contesto: le traversie della Olivetti dopo la morte di Adriano (nel 1960), la crisi fra il 1963 e il 1964 in cui – con il Gruppo di Intervento coordinato da Mediobanca – si rimedia al crescente dissesto conservando la consociata americana e cedendo la grande elettronica alla General Electric: una scelta dettata dalle condizioni prefallimentari del gruppo di Ivrea, peraltro coerente con gli “impulsi” di Vittorio Valletta («l’elettronica della Olivetti è un neo da estirpare», sono le parole del capoazienda della Fiat) e con la visione della frontiera tecnologica di Enrico Cuccia che – nella sua idea di sviluppo per l’Italia – assegna centralità strategica alla chimica e non alla elettronica. Con la cessione della grande elettronica alla General Electric, la Olivetti torna a concentrarsi soprattutto sulla meccanica. Ma, a Ivrea, resta un piccolo gruppo di specialisti. Fra questi, c’è Perotto. In quel passaggio storico, un ruolo fondamentale è rivestito da Roberto Olivetti, il figlio di Adriano eternamente sospeso fra l’ombra del padre e le sue talentuose fragilità. Roberto imprime un impulso decisivo nella reificazione in una macchina, come la Programma 101, delle residuali potenzialità tecnologiche olivettiane nel segmento abbandonato. Il tutto, in una coltre di ostilità da parte dei “meccanici” della Olivetti che già negli anni precedenti hanno mal sopportato gli investimenti in quella strana cosa chiamata elettronica. Il lancio nel 1965 negli Stati Uniti è accolto molto bene.
C’è discordanza sui numeri reali delle vendite della Perottina, come è chiamata la macchina. Una stima plausibile è di 44mila unità, per lo più negli Stati Uniti. Un successo? Il giudizio storico è ambivalente. Da un lato, si tratta di un fenomeno di straordinaria vitalità, con il dna elettronico residuale di Ivrea che genera un prodotto avanzato come la P101. Dall’altro, rappresenta l’ennesima occasione perduta, per l’impresa e il Paese. Negli Stati Uniti la Hewlett-Packard copia la macchina con l’HP 9100. E deve versare un risarcimento di 900mila dollari per violazione di brevetto (un dollaro simbolico va a Perotto). In Italia la Olivetti sceglie di investire soprattutto nella meccanica tradizionale e trasforma la piccola elettronica in un ramo prima disidratato, poi disseccato e infine morto. Nel Paese (quasi) nessuno se ne accorge.