Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 18 Domenica calendario

Un piano di pace per una Libia divisa. Domani il Parlamento di Tobruk voterà il pacchetto presentato dal diplomatico Bernardino Leon, ma l’accordo non sembra ancora raggiunto

In Libia è tempo di scelte importanti. L’8 ottobre l’inviato speciale dell’Onu, il diplomatico spagnolo Bernardino Leon, ha presentato un piano di pace e un governo di unità nazionale. Le diverse fazioni sono chiamate a dare una risposta definitiva entro martedì. Questo fa sembrare la pace e la stabilizzazione del Paese molto vicine, tanto che i britannici hanno organizzato per domani un incontro internazionale per discutere di come sostenere il nuovo governo libico – quello che le fazioni devono approvare entro il giorno successivo.
Il problema è che l’approvazione del pacchetto che include il piano Leon e l’esecutivo unitario è di la da venire. Il parlamento di Tobruk ha provato a discutere la materia la scorsa settimana ma non riuscendo a raggiungere un accordo, ha rimandato la discussione e la votazione a lunedì, in contemporanea con l’incontro della comunità internazionale a Londra. I media libici prevedono che, se tutto va bene, a Tobruk domani voteranno un “ni”: sì condizionale all’accordo e una richiesta di rivedere i nomi del governo proposto da Leon. Peggio ancora a Tripoli dove ancora non è stata convocata una riunione del Congresso Generale Nazionale, il vecchio parlamento che è stato riesumato per sostenere la coalizione Alba libica e che non è riconosciuto da nessun paese al di fuori della Libia. Alba libica, nata come coalizione tra milizie islamiste, berbere e della città di Misurata, si è persa per strada proprio queste ultime che ne costituivano la parte militarmente piú importante.
Mentre si parla di governo di unità nazionale, la realtà è quella della divisione del Paese in molteplici strutture di governo parallele: il governo di Tobruk controlla una parte della Cirenaica e alcune zone attorno a Tripoli; la capitale e parte dell’ovest sono controllate dal Congresso Generale Nazionale; le città di Misurata e Zintan agiscono come stati indipendenti; il sud è nel caos totale.
A spezzare ulteriormente in due il Paese c’è Daesh, che i libici chiamano “organizzazione dello Stato” e che allarga sempre di piú il suo controllo nella Libia centrale, attorno alla città di Sirte e laddove si congiungono la strada costiera e quella che si inoltre nel deserto fino a Sebha.
Il piano Leon può non piacere a molti in Libia e fuori, ma l’alternativa migliore è la continuazione di questa estrema frammentazione. L’alternativa piú realistica è peró che la bocciatura dell’accordo di pace conduca ad un’escalation dei combattimenti e al prevalere dei “duri” a Tobruk come in Tripolitania. Il governo di Tobruk infatti è sempre piú ostaggio del generale Khalifa Heftar, che si erge a paladino della lotta contro tutti gli islamisti e si fa forte del sostegno di Egitto ed Emirati Arabi Uniti. Heftar tiene sostanzialmente in libertà vigilata l’attuale primo ministro Abdullah al Thinni e conta di stabilire un consiglio supremo militare sul modello egiziano per meglio confermare la sua supremazia. Sarebbe però un bel magro risultato, visto che Heftar non riesce a conquistare neanche Benghazi (cosa che ha promesso piú volte nell’ultimo anno), figuriamoci Tripoli.
Della capitale invece si occupa Saif al Islam Gheddafi, il piú potente tra i figli dell’ex dittatore. Come riportato dal Fatto lo scorso fine settimana, l’ex “erede al trono” avrebbe fatto pervenire un messaggio con cui annuncia di essere alla testa di diverse milizie che dalla città di Zintan muoverebbero alla volta di Tripoli. Solo uno dei segnali di come dai colloqui di pace si potrebbe passare presto ad una pericolosa escalation, con relativo ulteriore dramma umanitario per i libici e conseguenze amare per l’Italia, sia sull’immigrazione che su Daesh.