Il Fatto Quotidiano, 18 ottobre 2015
«Eco sbaglia, il vero nome di Montanelli non era Cilindro. Il padre, fiero mangiapreti e ingiuese purosangue, scelse per il figlio quel nome assente nel calendario dei santi, addirittura legato a un’altra religione (Indro è il maschile dell’indiano Indira)». A 15 anni dalla morte continuano le fantasie biografiche sul giornalista
Indro Montanelli si augurava di essere dimenticato al più presto, oltre a esserne pressoché certo, essendo l’Italia un paese senza memoria. Ma probabilmente non avrebbe resistito a replicare alla sua maniera di fronte alla salva di leggende metropolitane (o di semplici bischerate) che lo riguardano messe in moto dalla sua morte. La più recente, in particolare, ha una ha una paternità troppo illustre per essere passata sotto silenzio. Umberto Eco, in un pezzo sull’Espresso dedicato a Telesio Malaspina e ai nomi insoliti, scrive testualmente che “un padre aveva effettivamente battezzato Cilindro il grande Montanelli”.
Sulla grandezza di Montanelli, nulla da obbiettare. Ma sul suo vero nome di sì, eccome.
Il romanziere semiologo che ci ha insegnato come i nomi siano l’essenza delle cose, in questo caso ha sbagliato essenza.
Basta andare sul sito della Fondazione Montanelli per verificare che Indro Alessandro Raffaello Schizogene (!) fu battezzato nella Collegiata di Fucecchio il 9 maggio 1909.
E sempre sul sito fondazionemontanelli.it si possono leggere i dettagli della vicenda, peraltro narrata anche dal diretto interessato nel racconto Mi chiamo Indro.
Bisogna sapere che i fucecchiesi, secondo i dettami del miglior campanile toscano, sono divisi in due fazioni: gli abitanti del paese su in alto, dunque detti “insuesi”; e quelli del paese basso, i più umili “ingiuesi”.
Sestilio Montanelli, fiero mangiapreti e ingiuese purosangue, dovette subire la decisione della moglie Maddalena di partorire nella casa dei genitori nel paese alto, “in su”, dove risiedevano tutte le famiglie più in vista di Fucecchio.
E allora come ritorsione scelse per il figlio quel nome assente nel calendario dei santi, addirittura legato a un’altra religione (Indro è il maschile dell’indiano Indira).
Per una verità ripristinata, la montanelleide prosegue nelle mille e una bufala che hanno costretto il sito della Fondazione con sede a Fucecchio ad aprire una sezione apposita, “dicono di lui”, in soccorso della verità dei fatti.
La morte, si sa, è una gran pettegola, anche per via dell’effetto “io lo conoscevo bene”. Spuntano come funghi i sedicenti intimi, convinti di essere gli unici depositari delle confidenze dal caro estinto, che difficilmente potrà smentire: Montanelli figlio illegittimo del principe romano Ludovico Spada; Montanelli protagonista di relazioni segretissime come quella con Maria Josè di Savoia; Montanelli convertito alla fede cristiana in punto di morte.
Ancora più irresistibile dell’“io lo conoscevo bene” è il “lui mi conosceva bene”, con relativa proliferazione di eredi e continuatori autonominati tali, oppure falsamente accusati di averlo fatto.
Il Giornale diretto da Sandro Sallusti si ostina a richiamarsi a Montanelli, che è come se Famiglia cristiana insistesse nel richiamarsi a Barbablù.
Per contro, il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio non ha mai detto che Montanelli lo considerava il suo delfino, come è stato sostenuto.
In realtà Montanelli non fece mai alcuna investitura ufficiale; dopo la morte la pagina quotidiana in cui rispondeva alle lettere dei lettori del Corriere della sera passò prima a Paolo Mieli, quindi a Sergio Romano; ma di fatto la sua “Stanza” è rimasta vuota.
“La mia eredità sono io”, si legge sulla copertina dell’antologia degli scritti curata da Paolo di Paolo. Limpidezza montanelliana, verrebbe da dire.
Ma anche un consiglio sottopelle: per non prendere abbagli sul grande Montanelli c’è un metodo sicuro. Leggerlo.