la Repubblica, 19 ottobre 2015
Reggio Emilia, patria del tricolore, col calcio e col basket è la capitale dello sport italiano
La città che per prima cucì il Tricolore è anche l’ultima a difenderlo in campo. Reggio Emilia, culla della bandiera nell’anno 1797, oggi è il baluardo del Made in Italy nello sport. Qui, nello spazio di una passeggiata di tre chilometri che va dal Mapei Stadium al PalaBigi, è possibile vedere la maggior concentrazione di italiani in due campionati d’accento marcatamente straniero. Binomio recente: la Reggiana del basket, quarant’anni di vita, è tornata in massima serie nel 2012, quella del calcio è bloccata in Lega Pro ma intanto il Sassuolo, approdato fra i grandi nel 2013, ha presto abbandonato l’esilio ostile di Modena ed eletto a dimora proprio lo stadio Tricolore (un tempo, il Giglio), ribattezzandolo subito col marchio del suo patron. Prima da inquilino, poi da proprietario: l’acquisto è avvenuto all’asta fallimentare, ormai due anni fa. Eppure Reggio Emilia è una della capitali italiane dell’accoglienza, un manifesto dell’integrazione. In città la percentuale di stranieri residenti è al 18,2% (in Italia, la media è dell’8,2%), 31mila abitanti provenienti da 125 paesi differenti, oltre 40 associazioni culturali e sociali dedicate agli stranieri, 13 istituti che organizzano corsi di italiano per immigrati, e una percentuale di alunni stranieri che in provincia arriva al 16,2%. Nello sport, però, esalta e tutela il prodotto italiano. E i risultati la premiano. Nel basket, Reggio Emilia, capolista con tre vittorie su tre, un tempio troppo piccolo per i fasti d’oggi (3500 posti, da ampliare fra un anno, ma il sogno resta un nuovo impianto), è la squadra più autarchica di un torneo cosiddetto italiano dove più d’una partita, ogni domenica, comincia con cinque contro cinque stranieri in campo, di preferenza americani. Ci ha pure perso uno scudetto, con la sua pattuglia tricolore, per non più d’un paio di palloni, senza per questo demordere. Eppure, neanche quattro mesi fa, il titolo premiò chi, di fronte, aveva sposato la filosofia opposta: Sassari partiva con cinque pezzi Usa nelle più variegate gradazioni del moro ( Logan, Dyson, Sanders, Brooks, Lawal), salvo riaverne adesso uno solo, per la difesa della corona. Reggio ha continuato sulla sua strada e anzi di americani in squadra non ne ha mezzo. Agli azzurri di Berlino Aradori, Polonara, Della Valle (il club più rappresentato nel clan Italia), e ai quasi azzurri Stefano Gentile e De Nicolao, unisce infatti veterani lituani o bielorossi (Kaukenas, Lavrinovic, Veremeenko) o altri giovani giganti dell’Est importati bambini in Emilia (Silins, Pechacek). E tanto per chiarire che l’allevamento viene prima dell’importazione, è cresciuto a tortelli e lambrusco pure il tecnico, Max Menetti, 42enne reggiano nato per caso in Friuli, cuoco diplomato a Salsomaggiore, prima serie A, da assistente, accanto a un antico mostro sacro come Dado Lombardi. Con questo assetto la Grissin Bon darà un nuovo assalto allo scudetto che, un anno fa, sfiorò quasi senza volerlo. Stavolta è nel quartetto delle favorite, con più oneri e responsabilità, ma anche un sistema più rodato: all’oggi gioca il miglior basket del torneo (e non potrebbe essere altrimenti, visto che tutti hanno furiosamente cambiato pezzi), se così sarà anche a maggio se ne vedranno delle belle. Il Sassuolo ha perduto una volta sola, nel finale a Empoli, è quarto e il patron Squinzi parla di scudetto: «Inizialmente l’obiettivo era una salvezza tranquilla, ma la squadra ha i titoli per puntare più in alto. E avremo sempre più italiani». Pure qui c’è un allenatore che viene dalle cucine, perché Eusebio Di Francesco, 46 anni, già cursore di un Piacenza tutto italiano, prim’ancora lavorava nel ristorante che la sua famiglia ha aperto a Dragonara, più di quarant’anni fa. Attualmente da lui giocano solo tre stranieri, il croato Vrsaljko, il francese Defrel, il ghanese Duncan che ha passaporto italiano. Per trovare altre bandiere bisogna ricordare le origini tunisine del milanese Laribi, o che il calabrese Floccari ha acquisito pure la cittadinanza sammarinese sposando Maria Elisa. Nelle rose della A, la legione straniera è al 56%, al Sassuolo è al 13%. Eppure a Conte ha dato finora solo Berardi, che alla prima chiamata ha preferito tornare a casa per un dolorino. Nel basket, su 210 giocatori nei roster dei 16 club, 111 sono italiani di nascita o di passaporto. In partenza la rappresentanza italiana è al 52% (Milano, la più colonizzata, ha appena 5 azzurrabili), ma il numero è gonfiato dai ragazzotti acerbi inseriti in lista. Quando s’alza la palla a due, gli italiani restano seduti: non c’è spazio né tempo per loro. Nelle prime due giornate, il minutaggio degli italiani non arriva a un terzo del totale (32,1%). A Sassari, Capo d’Orlando, Brindisi e Avellino, è sotto il 25%. Reggio, più che un’eccezione, è un’anomalia: è l’unico team in cui gli italiani hanno più tempo degli stranieri (59% contro 41%). Pure qui, discorsi da scudetto. Buongiorno Italia, lasciateli cantare.