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 2015  ottobre 19 Lunedì calendario

Bersani dice che abolire la tassa sulla prima casa per tutti viola la Costituzione, che impone invece interventi fiscali progressivi. Il costituzionalista Michele Ainis gli dà torto

ROMA Togliere la tassa sulla prima casa a tutti, super-ricchi compresi, è un attacco alla Costituzione. Pier Luigi Bersani torna a criticare la legge di Stabilità e affonda un colpo durissimo, che innesca un botta e risposta con Maria Elena Boschi: «Non è la prima volta che Bersani fa polemica. Abbiamo deciso di togliere le tasse a tutti sulla casa, perché molti italiani hanno fatto sacrifici per comprarsela».
Bersani non ci sta. L’ex segretario rimprovera a Matteo Renzi di «sfidare l’intelligenza degli italiani» e chiede quale intenzione abbia riguardo all’articolo 53 della Costituzione, dove è scritto che il nostro sistema tributario è improntato a criteri di progressività: «Le norme sulla casa introducono per via di fatto un 53 bis: chi ha di più, paga di meno». La stessa accusa di Roberto Speranza, il quale da giorni gira l’Italia e scandisce lo stesso leitmotiv: «Non possiamo fare i Robin Hood al contrario». E ogni volta, assicura l’ex capogruppo, scatta l’applauso dei militanti.
Michele Ainis: «Ha torto»
Non pronunziare il nome di Dio invano, recita il secondo comandamento.
Se il divieto s’applicasse anche alla Costituzione, saremmo tutti peccatori. Perché ogni giorno viene denunziata l’incostituzionalità di questa o quella norma, di questa o quella decisione. Significa che la nostra Carta incute rispetto, ma significa altresì che spesso viene usata per dispetto. Fra i dispettosi s’iscrive, in ultimo, Pier Luigi Bersani. Via le tasse sulla casa? Non si può: lo impedisce l’articolo 53 della Costituzione, lì dove dispone che «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». E dunque Renzi, se vuole, potrà detassare le case dei poveri, giammai quelle dei ricchi.
Ora, il criterio della progressività rappresenta un architrave della nostra civiltà giuridica. Vi si riflette un timbro etico, un sentimento di giustizia. Però va inteso – come disse Meuccio Ruini in Assemblea costituente – non in relazione a tutti i singoli tributi, bensì «all’onere tributario complessivo gravante sul cittadino». E con accenti analoghi si è espressa successivamente la Consulta, a partire dalla sentenza n. 30 del 1964. Quindi sarebbe incostituzionale la flat tax proposta da Salvini l’anno scorso: 15% per tutti, contribuenti e imprese. Ma non è affatto questa la soluzione che propone Renzi. Lui vuole togliere una tassa, non l’Irpef. Anche l’anno prossimo continueremo a denunziare i nostri redditi, pagando in proporzione alla ricchezza (o alla miseria) individuale. E pagheremo pure sui «redditi dei fabbricati» (quadro RB della dichiarazione), in base alla loro rendita catastale.
Morale della favola: si può dissentire da quest’idea di Renzi, ci mancherebbe. Possiamo sollevare critiche per ragioni di bilancio, come ha fatto Monti nell’intervista di ieri sul Corriere. O per ragioni politiche, come fa la sinistra del Pd. Ma non possiamo torcere il criterio della progressività nella sua caricatura. Altrimenti lo Stato dovrebbe modulare le accise sulla benzina o sui tabacchi in proporzione al reddito dei consumatori, costringendoli a fare sempre acquisti in compagnia del commercialista. E poi, a rigor di logica si potrà rendere progressiva una tassa, non la sua cancellazione. Mica possiamo cancellarla due volte per i poveri, una volta per i ricchi. Ma forse in Italia abbiamo deciso che anche la logica è incostituzionale.