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 2015  ottobre 19 Lunedì calendario

Il cadavere di Ghirardini forse dà un senso al giallo di Marcheno

Mara Rodella sul Corriere della sera
DAL NOSTRO INVIATO
PONTE DI LEGNO (BRESCIA) Quando qualcuno ha gridato «Hey, c’è qualcosa lì sotto...» è come se un barlume di speranza si fosse acceso. I cani hanno abbaiato e decine di soccorritori sono corsi giù dal crinale. Ma la scintilla si è spenta non appena si sono trovati faccia a faccia con quel corpo senza vita, riverso a pancia in giù. Vestito, gli stivali comprati solo qualche settimana fa calzati ai piedi. Giuseppe Ghirardini non respirava più.
Quali siano le cause della morte lo potrà stabilire con certezza soltanto l’autopsia. A nulla sono valsi gli appelli disperati della famiglia: «Torna a casa, ti prego». Ghirardini, 50 anni, operaio addetto ai forni della Bozzoli srl di Marcheno, in provincia di Brescia, è stato trovato morto nel primo pomeriggio di ieri sulla strada che porta a Case di Viso, un pugno di abitazioni di pietra sopra Ponte di Legno. I tecnici del soccorso alpino l’hanno avvistato in fondo a una scarpata, sulle sponde di un torrente di montagna, sotto gli alberi, a quota 1.800 metri. Al di là del ruscello, risalendo la costa, c’è la strada sterrata che circa tre chilometri verso valle porta al punto in cui venerdì sera gli investigatori hanno trovato il Suzuki Gran Vitara di Ghirardini.
Sul corpo, dicono i carabinieri guidati dal comandante Giuseppe Spina, non ci sarebbero segni evidenti di ferite da arma da fuoco o da taglio. Nessuna pistola, o fucile, nelle immediate vicinanze. Ghirardini potrebbe essere morto per assideramento, per un malore, addirittura qualcuno potrebbe averlo spinto dopo averlo portato fino a qui. Al momento non si esclude alcuna ipotesi. E «si continua a lavorare a tutto campo» anche se sembra ancora più improbabile che la morte di Ghirardini non sia legata a doppio filo alla scomparsa del suo datore di lavoro, Mario Bozzoli, svanito nel nulla sei giorni prima di lui, giovedì 8 ottobre.
Un mistero nel mistero. Proprio mercoledì avrebbe dovuto essere risentito dagli inquirenti sulla scomparsa di Bozzoli, ma alle nove del mattino è uscito di casa, a Marcheno, e ha salutato la sorella dicendole che sarebbe andato a caccia con gli amici. Nulla di strano, se non fosse che i suoi adorati cani, così come i fucili, non erano in auto. E che qualche ora prima l’uscita era stata sospesa per il maltempo. Ghirardini ha percorso un centinaio di chilometri, superato il passo Crocedomini (lì è arrivato l’ultimo segnale dal suo telefonino) e raggiunto la Valcamonica. Un posto che conosceva, dicono gli amici, ma che non frequentava spesso. Prima del ritrovamento del corpo i cani molecolari avevano portato i soccorritori a duemila metri, in un bivacco, dove sarebbe stato acceso di recente un fuoco, ma non è detto che le tracce siano quelle di Ghirardini.

Pietro Colaprico su Repubblica
ntorno al cadavere di Beppe Ghirardini, che viene trovato alle 14 e che nessuno sposta sino alle 22, ci sono cento persone, quasi tutte in divisa. Chi dice che è morto per malore (versione avvalorata dal sindaco di Marcheno, Diego Bertussi), chi parla di un colpo d’arma da fuoco, chi racconta come sembra si fosse costruito una sorta di rifugio di fortuna, da uomo dei boschi, o magari era solo un capanno da cacciatore. Fatto sta che carabinieri e protezione civile cercavano quest’uomo alto e simpatico da mercoledì mattina, da quando se n’era andato all’improvviso, e senza logica plausibile, sotto la pioggia, dopo una bugia su una battuta di caccia. Più d’uno pensava fosse fuggito verso la Svizzera. Se pure voleva fuggire, e nessuno può affermarlo, anzi, Ghirardini non ce l’ha fatta. La sua auto marrone è stata trovata venerdì notte e lui, ieri, era a faccia in giù accanto al torrente urlante della zona Case di Viso, sopra Ponte di Legno, a un’ora e mezzo e a quattro chilometri di cammino dalla Suzuki lasciata tra gli alberi, a quota mille e 800 metri, con la neve. Era prono, rannicchiato, seminascosto dalla vegetazione. E mentre il Ris a tarda notte sta ancora setacciando l’area intorno al corpo, dal palazzo di giustizia dicono autorevolmente: «Il corpo sarà portato a Brescia e solo lì esaminato, quindi le notizie certe si avranno solo domani», e cioè oggi.

Per molti questa è «una morte annunciata », inutile nasconderlo. E una morte che aumenta, e moltissimo, la preoccupazione sulla sorte di Mario Bozzoli, il titolare della fonderia di Marcheno, paese di 4mila e 500 abitanti, dove Ghirardini lavorava, con mansioni delicate specialmente riguardo l’altoforno. Come si sa Bozzoli è ufficialmente “missing”, scomparso, ma lo è in un modo che era e resta incomprensibile. Qualche dettaglio in più c’è, rispetto alle prime versioni.
Sono le 19.15 di giovedì 8 ottobre quando Mario chiama la moglie Irene: «Ho fatto un po’ tardi, mi cambio e arrivo». Lo dice stando al centro del grande capannone, tra cumuli di rottami e lingotti di ottone. In quel momento, nel perimetro della fonderia che Mario divide al 50 per cento con il fratello Adelio, ed entrambi l’hanno ereditata da papà Giuseppe, ci sono non tre persone, come s’era detto all’inizio da parte degli inquirenti, ma cinque. Quattro operai, tra i quali Ghirardini, e Alex, nipote di Bozzoli, che vive in un suo appartamento attaccato all’azienda.
I movimenti dei cinque sono stati in parte ricostruiti, non mancano le zone d’ombra, ma Mario Bozzoli viene visto dirigersi allo spogliatoio aziendale, e non ci arriverà, nel senso che l’armadietto, con i suoi vestiti puliti, è stato trovato chiuso. La sua Bmw X5 è nel cortile. Là, nella ditta, il suo telefonino smette all’improvviso di funzionare. Una sorta di immaterialità dove prima c’erano lui e i suoi abiti da lavoro. Né le telecamere dell’azienda, né le telecamere della zona industriale, né quelle della via che attraversa la ben protetta Val Trompia, sulla quale si affacciano senza soluzione di continuità fabbriche d’armi, carpenterie, fonderie, via che passa accanto a miniere abbandonate e ville da milionario americano, nessuno insomma fra i tanti occhi elettronici vedrà più Mario Bozzoli, uomo alto un metro e 90. «È mai uscito dalla ditta? Chi sa parli, ogni dettaglio può essere utile», continua a chiedere l’avvocato della famiglia, Patrizia Scalvi. Quindi, ogni passo avanti che l’inchiesta fa, anche un passo avanti come quello tragico di ieri, rimanda sempre al primo giorno e al primo scomparso, obbliga a interrogarsi su qualsiasi stranezza, come quella ripresa dalle telecamere dentro la ditta. Una scena che, come quasi tutto in questa storia, non può essere ancora letta in modo univoco. Un uomo in felpa bianca arriva in ufficio e strappa alcuni documenti, a scomparsa di Mario Bozzoli avvenuta. È il nipote Alex, lui stesso lo confermerà ai carabinieri. Alex, come tutti i dipendenti, come lo stesso Ghirardini, è stato interrogato subito e poi, “in attesa di sviluppi”, lasciato andare a casa.
Martedì scorso i carabinieri del comando provinciale di Brescia mettono i sigilli alla fabbrica. Intendono cercare le possibili, esili, minime tracce di un’aggressione. Bisogna vedere se dall’altoforno, che ha una temperatura di mille gradi, tale da incenerire ogni cellula, si possa ricavare qualche cosa di utile alle indagini. Il mercoledì mattina, Ghirardini esce da solo, senza i cani e senza i fucili, dopo aver annunciato una battuta di caccia, e s’inoltra nell’Alta Val Trompia, supera Maniva, arriva a Ponte di Legno. Ha un appuntamento con qualcuno? È lui che spegne il telefonino? C’è qualche telefonino di protagonisti e comparse di questa vicenda nella stessa zona in quelle stesse ore? Ai familiari, avvertiti immediatamente, è stato detto che forse la morte risale allo stesso mercoledì. E adesso, in attesa di sviluppi, tutte le persone coinvolte nelle indagini restano a casa loro, in una zona diventata ad alta densità di divise, dove un assassino può essere a piede libero.

Beatrice Raspa sulla Stampa
Era prono, accasciato a pancia in giù, ai piedi gli stivaloni antipioggia, in mano un bastone, di quelli che servono durante le camminate in montagna. La perfetta tenuta del cercatore di funghi. Giuseppe Ghirardini, l’operaio cinquantenne della fonderia di Marcheno scomparso mercoledì, sei giorni dopo la sparizione del suo titolare, ieri è stato trovato morto. Un decesso all’apparenza per cause naturali. L’addetto ai forni della Bozzoli srl, uno dei tre dipendenti presenti in fabbrica la sera di giovedì 8 ottobre alle sette, quando uno dei titolari Mario Bozzoli è sparito nel nulla, era tra i boschi di Ponte di Legno, in un canalone vicino a un torrente.
Soccorso alpino
A scoprirlo alle 14,30 è stata una squadra del soccorso alpino in località Case di Viso, a un’ora e mezza di passeggiata dal luogo in cui aveva posteggiato la sua Suzuki Vitara marrone rinvenuta venerdì sera e ora nelle mani del Ris. A stroncarlo sembra essere stato un malore. La prima ispezione sul cadavere non avrebbe rivelato segni di violenza evidenti. I carabinieri non si sbilanciano aspettano che a parlare sia l’autopsia. Ma nel frattempo la vicenda della fabbrica del mistero, con due scomparsi nel giro di sei giorni, non smette di riservare colpi di scena, arricchendosi di un nuovo capitolo del quale non è ancora chiara la conclusione. Davvero Ghirardini è vittima inconsapevole di uno sconcertante incastro di coincidenze ed era uscito da casa solo in cerca di porcini? Oppure è sparito perché aveva delle informazioni che sono morte con lui? I familiari si scagliano contro chi sospetta che l’uomo si fosse dileguato perché in qualche modo coinvolto nella scomparsa del suo principale. «Conoscendolo era andato a godersi quegli splendidi posti per godersi la montagna e basta – assicura una nipote, Francesca Ronchi -. Ne ha approfittato visto che la fabbrica era chiusa (da martedì è sotto sequestro probatorio, ndr) -. Non perdeva un giorno di lavoro. Era molto provato da quanto accaduto al datore di lavoro, lo stimava molto».
Vero rompicapo
Il pm Alberto Rossi e i carabinieri si trovano di fronte a un rompicapo. Ghirardini si era allontanato da casa mercoledì proprio il giorno in cui avrebbe dovuto essere riascoltato la seconda volta in merito alla serata in cui Mario Bozzoli alle 19,15 aveva chiamato la moglie («Mi cambio e arrivo») e poi era scomparso. L’industriale a casa non ci è mai arrivato, è come se si fosse volatilizzato. La sua Bmw X5 non ha mai lasciato il parcheggio dell’azienda di via Gitti. Gli abiti erano appesi nello spogliatoio. In fabbrica gli operai di turno, Ermes Maggi, il senegalese Abu e appunto Ghirardini, l’addetto ai forni, hanno detto di non avere visto nulla. L’uomo martedì scorso aveva peraltro fatto da guida a Patrizia Scalvi, l’avvocato al legale della famiglia Bozzoli, la moglie Irene e i figli Claudio e Giuseppe, che si era recata in fabbrica per un sopralluogo e sollecitare. «Sì, in teoria una persona può essere spinta lì dentro» aveva risposto impassibile all’avvocato che gli chiedeva conto del terribile sospetto legato alla sparizione dell’imprenditore. Mercoledì mattina Ghirardini voleva uscire per una battuta di caccia poi sfumata per il maltempo. All’alba ha pubblicato su Facebook alcuni oscuri messaggi («Guardati bene le spalle sempre, le pugnalate arrivano da chi meno te l’aspetti») si è messo al volante della sua auto e ha imboccato la strada per la Valcamonica. A Marcheno, però, non è più tornato.