Corriere della Sera - La Lettura, 18 ottobre 2015
Storia dei Celti. Inventarono l’aratro di ferro e la loro regina Boudicca saccheggiò Londra
La mostra Celts: art and identity espone al British Museum di Londra oggetti artistici originali, ma anche rivisitazioni dal Medioevo a oggi, tratti dal mondo celtico. Ma chi erano i Celti? Per i Greci, i Keltòi erano tutti i barbari del Nord, ma essi non si erano dati questo nome. Erano vari popoli guerrieri, spesso in lizza fra loro, uniti da una lingua simile e simili usanze religiose e culturali, stanziati in tutta l’Europa, fra cui Britanni, Irlandesi, Belgi, Celtiberi e Galati o Galli. La loro storia coincide con l’età del ferro (VIII-I sec. a.C.). Che fossero davvero legati da un unico sostrato culturale è, però, tuttora discusso.
I Celti vivevano in famiglie allargate, dove i figli dei nobili erano allevati dallo zio paterno, un vero genitore adottivo. I clan erano raggruppati in tribù, ciascuna con i propri costumi e i propri dèi. Costruivano fortini su colline, circondati da fossati, e vivevano in capanne.
Quando non combattevano, coltivavano la terra e la loro innovazione più importante fu l’aratro di ferro. La ricchezza era nella quantità del bestiame posseduto. Le donne potevano gestire loro proprietà, scegliersi il marito, e anche comandare un esercito, come nel caso della regina degli Iceni (nell’odierno Norfolk), Boudicca dalla rossa chioma, che si ribellò a Nerone arrivando a saccheggiare Londra.
La lingua celtica era ricca di tradizioni orali, tramandate da bardi e poeti. La religione era gestita dai druidi, sacerdoti, guaritori e giudici, con cerimonie presso boschi, pozzi e sorgenti d’acqua, ritenuti sacri. Credevano nell’immortalità dell’anima e per questo tagliavano le teste dei nemici, considerate sede della vita, e le impalavano come trofei fuori dalle loro case o le attaccavano alla cintura. Andavano alla guerra dipinti di blu dalla testa ai piedi, o anche nudi, gridando urla terrificanti. Famosi erano i loro banchetti organizzati gerarchicamente, in cui ci si sfidava a duello per il migliore pezzo di carne. Ma erano bellicosi anche fra loro, e non riuscirono mai a costituire un fronte unito per battere definitivamente i Romani. Un frammento dell’opera storica di Catone il Censore, politico e scrittore romano, notava la loro passione, oltre che per la guerra, per le battute di spirito.
Per Roma, alcune regioni popolate da Celti, come la Cisalpina, diventarono presto parte dell’impero, ma altre, come la Britannia, erano terre ai confini del mondo, la cui conquista aveva un alto valore propagandistico. Il generale Agricola, suocero di Tacito, negli anni 80 del I secolo d.C. aveva ottenuto vittorie fino al Monte Graupio, ignota località della Scozia, prima di essere richiamato in Italia dall’invidioso imperatore Domiziano. Ma intanto aveva fondato scuole di latino in tutta l’isola, dove i Celti si dimostrarono ottimi studenti. E proprio a un capoclan scozzese, Calgaco, Tacito mette in bocca la critica più dura all’arroganza dei Romani: «Dove fanno il deserto, lo chiamano pace». Forse anche la simpatia di Tacito può essere spiegata come orgoglio celtico, se è vero che egli era della Gallia Narbonense.
Come in Gallia, anche in Britannia si sviluppò una cultura mista: i luoghi sacri dei Celti divennero templi pagani, e poi chiese. Gli scavi sul Vallo di Adriano e quelli in corso a Londra hanno riportato alla luce testimonianze scritte di un mondo di soldati e civili dai nomi celtici, ma che comunicavano in perfetto latino con il resto dell’impero. Ancora prima dei Romani, i Greci avevano conosciuto i Celti fin dal IV secolo a.C. e Aristotele li paragonava agli Spartani per l’austerità con cui tiravano sui bambini. Giulio Cesare si accorse che i druidi conoscevano già da tempo l’alfabeto greco. A Marsiglia, colonia ellenica, i Galli compravano dai Greci vino in cambio di ferro e schiavi, e poi impararono anche a produrlo, scoprendo un nuovo modo di ubriacarsi che fece impallidire la birra e l’idromele.
In Gran Bretagna il nome dei Celti suscita ancora oggi forti emozioni. Gli scozzesi si credono più celti degli inglesi, i gallesi del Nord disprezzano quelli del Sud chiamandoli sassoni. Qualcuno addirittura piange nel giorno della battaglia di Hastings (14 ottobre 1066), dopo la quale gli Anglosassoni furono dominati dai Normanni. A parole, dunque, l’esposizione si prefigge di sfatare il mito di un solo «popolo celtico», mostrandone le mille sfaccettature antiche, e sorridendo delle fantasiose interpretazioni moderne. Si apre con una statua-menhir alta due metri dalla Germania del sud, e spazia dalle spille all’argenteria con animali stilizzati, alle miniature spiraliformi dei vangeli di Lindisfarne, al revival dell’ordine dei druidi nel 1781, alle fascinazioni romantiche di William Blake, fino alla maglia dei Boston Celtics. Ma, involontariamente o no, la mostra finisce per resuscitare una civiltà duratura e potente, che è sopravvissuta a Roma mescolandosi con essa, ha interiorizzato il Cristianesimo ed è riemersa intatta negli stati del Medioevo.
Dopo secoli passati a ritenersi i veri eredi dell’Impero romano, con questa mostra i britannici si specchiano in un passato che è rimasto sempre underground, ma non è mai diventato «lingua morta». Naturalmente criticano i preconcetti, spesso inquietanti, creati dai moderni attorno a questa cultura. Sicuramente nei tratti migliori dei Celti – nobiltà selvaggia, insensibilità alle intemperie del clima e della vita, viscerale legame con la natura, donne combattive, originale senso artistico e musicale, humour – a molti europei piacerà riconoscersi. E altrettanti turisti prenderanno ulteriore nota del pluralismo culturale su cui si fonda il Vecchio Continente.