Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  ottobre 18 Domenica calendario

Una retrospettiva su Élisabeth Louise Vigée Le Brun

Singolare che un’artista come Élisabeth Louise Vigée Le Brun (1755-1842) non abbia avuto sinora la fama che si merita. Il Grand Palais di Parigi le rende oggi un tardivo, quanto opportuno omaggio, con una retrospettiva che conta 160 opere, molte delle quali per la prima volta esposte in Francia. Pare impossibile, ma l’unica mostra dedicata alla ritrattista ufficiale di Maria Antonietta si è tenuta nel lontano 1982, non nel suo Paese natale bensì nel Texas, al Kimbell Arts Museum di Fort Worth.
I motivi di questa dimenticanza appaiono misteriosi, soprattutto da parte di un Paese che mai ha trascurato i propri artisti. I curatori della mostra, Joseph Baillio e Xavier Salmon del Louvre, non vogliono sentir parlare di misogina discriminazione ma di un semplice disinteresse per il genere. Per il grande pubblico i ritratti sono ripetitivi, in poche parole annoiano. Probabilmente è vero ma è indubbio che alzare il sipario su quest’artista era diventato un atto dovuto.

Élisabeth Vigée Le Brun ha vissuto 87 anni e ha dipinto il suo primo ritratto ufficiale all’età di 15 anni. La sua lunghissima carriera, 60 anni di successi, è unica, una vita senza un attimo di tregua vissuta nella turbolenta epoca compresa tra Luigi XV e Luigi Filippo, con una sola grande passione: immortalare sulla tela l’aristocrazia dell’intera Europa. Nella sua vita ha dipinto oltre 900 ritratti di superba qualità sopravvivendo indenne, non solo fisicamente ma anche artisticamente, alla Rivoluzione, all’Impero e persino ai primi frisson del Romanticismo. Timorosi di tediare i visitatori con una sterminata galleria di ritratti, i curatori hanno allestito una mostra vivace che offre un impagabile campionario di abiti, acconciature, cappelli, tessuti e soprattutto personaggi diversi, dalla madre in pelliccia bianca a Lady Hamilton nelle vesti di Sibilla Cumana.
Per dare un’anima e una ragione storica al percorso, è stato seguito il fil rouge dei suoi celebri Souvenirs editi nel 1835 e oggi ripubblicati dalle edizioni Honoré Champion. In questi taccuini, la Vigée lascia preziose testimonianze delle sue avventure, rendendoci partecipi della sua vita intima, delle sue emozioni, dei personaggi frequentati, dei poeti e dei pittori che amava e soprattutto delle corti dove era ammessa e acclamata. Corti disparate non solo per il susseguirsi delle vicende politiche ma anche geografiche. La Vigée Le Brun dipinse infatti non solo in Francia ma anche all’estero durante i lunghi anni dell’esilio cui fu costretta per non sentire sibilare la ghigliottina sul collo dei suoi nobili committenti.
Élisabeth era figlia di una parrucchiera e di un discreto pittore pastellista che la iniziò all’arte. A quel tempo, le donne non erano particolarmente incoraggiate alla pittura. Essendo loro vietata la copia dal nudo, e dunque lo studio accademico della figura, alle pittrici erano preclusi i soggetti storici e potevano dedicarsi solo a ritratti, nature morte e miniature. Nonostante la sua manifesta bravura, fu però il matrimonio con Jean-Baptiste Le Brun che fece la sua fortuna. Scarso pittore quanto scaltro mercante, ben introdotto presso la corte, il Le Brun la presentò a Maria Antonietta della quale nel 1779 divenne pittrice ufficiale. Nel 1783 entrò all’ Académie royale de peinture et de sculpture, osteggiata da coloro che non la volevano ammessa in quanto donna. In sei anni Élisabeth dipinse più di 30 ritratti della regina seguendo fedelmente le esigenze delle protocollo senza però mai cadere nella piaggeria. Anzi, al Salon del 1783, a testimonianza di un rapporto quanto mai intimo e complice con Maria Antonietta, presentò un’inedita immagine della regina in svolazzante veste da camera, suscitando l’indignazione di alcuni ma anche l’approvazione di tanti.
La sua pittura così fresca e leggera, che sapeva trasformare mature signore in radiose fanciulle dalla pelle di pesca, le procurò un successo inarrestabile. Nel suo sterminato catalogo si contano anche 150 autoritratti. Nonostante la mole di lavoro e i cospicui proventi che la facevano guadagnare all’epoca più di Thomas Gainsborough, Élisabeth trovava infatti sempre il tempo per ritrarsi, forse per concedere al mondo lo specchio della sua anima più vera. Il capitolo degli autoritratti risulta fondamentale per capire la profonda sensibilità della sua pittura, al primo sguardo superficiale ma invece sempre puntuale nel cogliere l’attimo di una felicità fuggente, la forza di una bellezza peritura ma presente e il gusto di un’eleganza perfetta, dove il tessuto contava più del modello, e la trasparenza di una trina era più importante del petalo di una rosa.

Nel 1786 Élisabeth dipinse la sua opera più moderna, l’autoritratto con la figlia Julie, detto anche la Tenerezza materna. In questo dipinto, di spiccata ispirazione raffaellesca, l’artista non si rappresenta più come una bella e vanitosa pittrice con tavolozza e pennelli, ma incarna l’ideale rousseauiano della famiglia serena. Si tratta di una visione finalmente nuova che rimase però circoscritta alla sua sfera personale. Costretta a lasciare Parigi nel 1789, fuggì con l’amata figlia e iniziò un lungo pellegrinaggio che la porterà per oltre 12 anni attraverso l’Europa. Nonostante fosse una donna sola e senza mezzi per mantenersi, venne accolta ovunque e i suoi ritratti furono sempre contesi dall’aristocrazia locale. In Italia si fermò a Firenze, Roma, Napoli, Parma e Venezia, si trasferì poi a Vienna e quindi a San Pietroburgo dove fu presentata a Caterina II e dove soggiornò per 6 anni ritrovando i fasti e le mondanità di Versailles.
Nel 1802 rientrò a Parigi con tutti gli onori riprendendo indefessa a dipingere a servizio del Consolato, dell’Impero e degli ultimi re di Francia. Mai paga dei suoi viaggi e del suo lavoro, visitò ancora l’Inghilterra, l’Italia e la Svizzera, mentre nel 1825 iniziò la redazione di quelli che diventeranno i suoi Souvenirs, testimonianza unica di una donna e di un’epoca speciali.