Corriere della Sera - La Lettura, 18 ottobre 2015
L’arte di inventare le lingue
Hash me laz adakha jin zhoris ?. Difficilmente spendibile nella vita reale, questa frase – che in italiano suona più o meno «questi cuori sono commestibili?» – potrebbe tornare utile a chi si trovasse tra i dothraki, popolo guerriero nato nell’universo prima letterario, poi anche tv, del Trono di spade. Il dothraki, come il klingon di Star Trek o il na’vi di Avatar, è una lingua inesistente, ma non per questo senza ferree sintassi, grammatica e pronuncia. J.R.R. Tolkien, maestro del genere, la chiamava glossopoeia – dal greco glossa, lingua, e poieo, fare —, oggi si dice arte del conlang, che sta per constructed language, cioè lingua artificiale. Faccenda seria – produttori di film e serie tv temono la caccia all’errore dei conlanger professionisti e dilettanti, scatenatissimi sul web. La creazione di lingue è diventata un lavoro vero per David J. Peterson, 34enne di Long Beach, California, ex docente di scrittura creativa per matricole al Fullerton college e oggi punta di diamante della Language Creation Society. «Non ho mai pensato che io o altri potessimo guadagnarci da vivere creando linguaggi», dice Peterson alla «Lettura». La passione per lui risale a quando, bambino, sentiva la principessa Leila conversare con Jabba in Guerre stellari, poi nel 2000 il primo corso di esperanto, a Berkeley. Peterson ha appena pubblicato un libro, The Art of Language Invention, uscito per Penguin, ma il suo impegno maggiore adesso resta sviluppare la lingua dothraki. Che conta già 4 mila parole. Una di queste – erin, ossia buono – è il nome di sua moglie.