la Repubblica, 18 ottobre 2015
Peaches, che ballava con due Barbies al posto dei capezzoli
L’odore del giorno è impastato di fumo ed alcool. «Abbiamo bevuto tutti parecchio champagne – racconta da New York Merrill Nisker, in arte Peaches, ancora in hangover dopo la sua performance al Capitale, sala da ballo di Manhattan, sulla Bowery – ma la cosa più forte della serata è stata quando ho cantato Boys Wanna Be Her». Non è servito allestire un palco per la furiosa regina dell’electroclash, eroina di un nuovo femminismo post-porno, post-punk e post-trans che da oltre quindici anni sta spingendo ai limiti per abbattere – anche con la musica – i confini di genere sessuale. Le è bastato salire in piedi su un tavolo apparecchiato per generare il caos con la sua vitalità selvaggia e un’aggressività rapace. Peaches usa il microfono come un oggetto contundente. È l’arma impropria e la protesi fallica di cui si serve per rompere gli steccati di genere e le divisioni sociali. Originaria di Toronto ma trapiantata a Berlino e oggi di base a Los Angeles, può essere considerata una Lady Gaga ante-litteram ma molto radicale e molto più provocatoria. A un festival ad Amburgo salì sul palco indossando un’armatura di enormi seni di silicone con le teste delle Barbie al posto dei capezzoli. Non certo l’unica, né l’ultima, delle sue provocazioni. La sua musica ha avuto su molte persone un effetto dirompente, dicono addirittura liberatorio. «Mi hanno detto che in alcune università i testi delle mie canzoni sono oggetto di discussione. È una cosa che mi rende orgogliosa di quello che faccio». Ha anche un sacco di fan importanti a quanto pare: Yoko Ono, John Malkovich, Iggy Pop, Ellen Page, Michael Stripe... «Sì e la cosa bella è che persone come loro – penso ad esempio a Ellen Page – adesso che sono famose possono aggiungere la loro voce alla mia». Ha sostenuto il gruppo punk delle russe Pussy Riot, a suo tempo chiedendone a gran voce la liberazione. Quanto si sente simile a loro? «Ne apprezzo la tenacia, la volontà di ferro con cui portano avanti le loro idee e rivendicazioni. Mi piacerebbe incontrarle presto per qualche progetto insieme, cosa che in un certo senso è già avvenuta quando ho realizzato il video Free Pussy Riot. Volevo esprimere tutta la rabbia per la loro detenzione e per la repressione che hanno subìto da parte del governo russo. Il video è diventato virale e ha contribuito a richiamare l’attenzione sul loro caso». L’hanno chiamata addirittura dal Texas conservatore per partecipare all’Austin Pride. Come sta procedendo la sua battaglia contro i “ruoli di genere”? «Si sono fatti molti passi in avanti, ma credo che siamo ancora all’inizio. Il vero valore della libertà individuale è la possibilità di decidere per se stessi e di diventare la persona che vogliamo essere. Non ho mai creduto nella rigida separazione tra i sessi e quindi non è stato difficile per me sbarazzarmi di questi preconcetti. Ma nel mondo sono ancora forti e vanno scardinati». Chi incontrerebbe più volentieri tra Madonna e Lady Gaga per parlare di questi temi? «Sicuramente Madonna, ha molta più esperienza alle spalle. Mi piacerebbe molto entrare nel suo cervello per sapere che cosa pensa davvero. Ma, prima di qualsiasi altra cosa, ovviamente le chiederei di raccontarmi nel dettaglio tutte le storie di sesso osceno che ha vissuto». Il suo nuovo album, “Rub”, trasmette un’aria di festa. È d’accordo? «Sì, è un po’ come se la lotta ormai fosse vinta. Diciamo che sono ottimista».