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 2015  ottobre 18 Domenica calendario

Perché è peggio fumare cannabis o bere alcol se si hanno non più di 17 anni. Come funziona la memoria dei ragazzi

Negli adolescenti il cervello è sottoposto a un lavoro interno di ristrutturazione talmente complesso che la sua esposizione a fattori traumatici o tossici può facilmente avere effetti negativi. Diversi studi hanno dimostrato che l’uso della cannabis, il fumare marijuana, può indurre nell’adolescente un danno che si manifesta con difficoltà di memoria e apprendimento. «Ricerche che operavano una distinzione tra l’inizio dell’uso della cannabis durante l’adolescenza, oppure nella vita adulta, hanno mostrato un deficit di attenzione e una scarsa performance cognitiva tra gli utilizzatori precoci di cannabis, quelli che hanno iniziato prima dei 17 anni; invece il deficit non è stato rilevabile in soggetti che hanno iniziato a usarla più avanti o nei soggetti usati come controllo (termine di paragone ndr)» dicono Matthijs Bossong e Raymond Niesink dell’Institute of Mental Health and Addiction di Utrecht in Olanda, autori di una revisione pubblicata su Progress in Neurobiology.
L’uso precoce della cannabis potrebbe essere correlato anche all’insorgenza di disturbi psicotici. «Almeno 9 diversi studi indipendenti supportano l’ipotesi che l’uso della cannabis possa portare a un aumentato rischio di psicosi più avanti nella vita» spiegano ancora i due ricercatori olandesi. «Uno degli studi ha mostrato che gli adolescenti che hanno usato la cannabis a partire dall’età di 15 anni risultavano 4,5 volte più esposti al rischio di ricevere una diagnosi di psicosi schizofreniforme entro i 26 anni; coloro che hanno iniziato a usare la droga dai 18 anni risultavano avere un rischio superiore di 1,6 volte di ricevere tale diagnosi». Trattandosi di studi osservazionali (quelli che servono ad analizzare associazioni tra fattori di rischio e una determinata condizione) è però difficile trarre conclusioni definitive.
Recenti ricerche hanno consentito anche di capire i meccanismi neurobiologici di questo aumentato rischio. Nel cervello esistono alcuni recettori per le sostanze presenti nella cannabis, come il recettore chiamato CB1. Ad esso si legano sostanze naturalmente prodotte dall’organismo, chiamate endocannabinoidi, che hanno una funzione regolatoria sulle comunicazioni tra i neuroni.
Chi fa uso di cannabis immette nell’organismo cannabinoidi dall’esterno, così che l’equilibrio naturale viene sbilanciato e si perde la regolazione soprattutto di due importanti sistemi, quello del glutammato e quello dell’acido gamma-amino-butirrico (GABA). In tal modo il processo di maturazione tipico dell’adolescenza, a cui dovrebbero andare incontro le reti di neuroni corticali, viene alterato.
«Nonostante non sia del tutto possibile trarre conclusioni definitive attraverso studi osservazionali, l’uso di cannabis può essere un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie psichiatriche e in modo particolare di psicosi e schizofrenia» dice Paola Fadda del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Neuroscienze e Farmacologia Clinica, dell’Università di Cagliari.
«Il rischio è particolarmente aumentato nei consumatori adolescenti che hanno una storia familiare di disturbi psichiatrici. La droga può rendere manifesto un disturbo genetico già preesistente in forma non clinicamente evidente. Ad aggravare il fenomeno negli ultimi dieci anni c’è l’introduzione sul mercato illegale di cannabis estratta da piante che hanno subito delle modifiche genetiche con incrementi della concentrazione del principio attivo responsabile degli effetti psicotropi: dal 3-5 per cento della pianta naturale originaria al 50 per cento e più. Si vendono anche miscele di cannabinoidi sintetici (“spice”) che hanno effetti più potenti di quelli della cannabis naturale con effetti tossici anche solo dopo esposizione acuta».
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Un ruolo sicuramente parecchio negativo nello sviluppo corretto del sistema nervoso nel corso dell’adolescenza lo gioca anche il consumo continuativo di alcol.
«Il ministero della Sanità ha stabilito che oltre un’ unità alcolica per le donne ( vale a dire poco più di un bicchiere di vino ndr), e due unità alcoliche per l’uomo, l’alcol può causare effetti tossici», spiega la professoressa Paola Fadda, del Dipartimento di Scienze Biomediche, Sezione di Neuroscienze e Farmacologia Clinica, dell’Università di Cagliari.
«In realtà non esistono quantitativi minimi al di sotto dei quali gli effetti tossici sono sicuramente evitati — prosegue la specialista —. Infatti, non tutta la popolazione ha le stesse risposte all’alcol. Gli adolescenti sotto i 20 anni sono più a rischio, e le ragazze più dei ragazzi, perché l’enzima alcol-deidrogenasi , quello che permette la metabolizzazione dell’alcol, funziona molto meno rispetto agli adulti, con la possibilità, quindi, di danni maggiori soprattutto a livello neuronale e del fegato».
I danni dell’alcol sullo sviluppo del cervello adolescente sono stati dimostrati anche da una ricerca effettuata con la risonanza magnetica eseguita su un gruppo di ragazzi rispettivamente a 18 anni, poi a 19 e infine 21. I risultati delle tre Risonanze successive hanno mostrato un assottigliamento della corteccia cerebrale tra gli utilizzatori di questa sostanza.
«Un dato che potrebbe indicare un pruning non favorevole, e/o un’inibizione della moltiplicazione cellulare, oppure ancora la morte di cellule cerebrali» sottolineano gli autori dello studio, guidati dalla dottoressa Joanna Jacobus dell’University of California di San Diego, che hanno pubblicato la loro sperimentazione sulla rivista scientifica Developmental Cognitive Neuroscience.
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L’adolescenza e l’ infanzia sono definite dai neuroscienziati periodi sensitivi , a indicare un momento dello sviluppo psicobiologico in cui il cervello è massimamente pronto a ricevere certi stimoli e a rispondere in modo ottimale.
Sono i momenti in cui l’apprendimento avviene più facilmente. Ed è per questo che l’adolescenza viene anche chiamata una seconda finestra di opportunità .
Dice in proposito Delia Fuhrmann dell’Institute of Cognitive Neuroscience dell’University College di Londra in un articolo pubblicato sulla rivista Trends in Cognitive Sciences: «Un organismo “si aspetta” di essere esposto a certi particolari stimoli durante questi periodi di sviluppo».
Un esempio di favorevole finestra adolescenziale è rappresentato dalla memoria. «All’età di 35 anni è più facile ricordare memorie autobiografiche comprese fra i 10 e i 30 anni rispetto a memorie precedenti o successive» si puntualizza nell’articolo. Ci si riferisce a questo fenomeno con in termine di picco della reminiscenza .
Probabilmente è esperienza comune rendersi conto del fatto che oltre agli eventi autobiografici, nella memoria di ognuno spicca il ricordo di libri letti o film visti durante quegli anni.
La musica poi occupa un posto di particolare rilievo su questo podio mnemonico, allacciata com’è alle prime esperienze passionali e all’aggrovigliarsi di sentimenti che caratterizza l’adolescenza.
I brani ascoltati in quegli anni non saranno mai più dimenticati. «Ma perfino gli eventi banali che accadono durante l’adolescenza e nella prima età adulta sembrano essere sovra-rappresentati nella memoria» sottolinea ancora Delia Fuhrmann, «facendo pensare che la capacità mnemonica sia accresciuta durante questo periodo della vita»