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 2015  ottobre 18 Domenica calendario

Il clima pesante di Napoli. C’è un morto ammazzato per terra e per ore nessuno chiama la polizia

S uccede una cosa paradossale sul fronte dell’anticamorra. A Napoli, ancora ieri un ragazzo di 24 anni, Domenico Aporta, è stato ucciso in un agguato e il fratello ventenne, Mariano, ferito a un braccio; il cadavere di Aporta, che aveva precedenti per rapina e stupefacenti, è rimasto a terra per ore senza che nessuno chiamasse la Polizia anche se un proiettile si è conficcato nella persiana di un’abitazione. Il governo potrebbe mobilitare l’esercito. Potrebbe. Ma la città non gradisce. Lascia cadere.
Convinta di far bene, due settimane fa la ministra Pinotti ha spiegato che mille militari erano pronti ad intervenire. Il giorno dopo, nonostante una tiepida adesione del governatore Vincenzo De Luca, il discorso era già chiuso. Archiviato. L’esercito è impegnato a Milano a difesa dell’Expo e sarà utilizzato a Roma per il Giubileo. Ma a Napoli si fa fatica ad accettarlo, nonostante la pesantezza del clima: Nunziata D’Amico, 37 anni, reggente dell’omonimo clan, è stata uccisa a Ponticelli ad appena 12 giorni, come ha notato il Corriere del Mezzogiorno, dall’ultima visita, nello stesso quartiere, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Le ragioni di tanta inspiegabile nonchalance sono molte, ma soprattutto va considerata la natura stessa della camorra, che da fenomeno ambiguo spesso induce all’ambiguità, e dunque alla sottovalutazione o al falso pudore. Era camorra quella con la coccarda tricolore reclutata dal prefetto Liborio Romano ai tempi di Garibaldi, ma è camorra anche quella dei grandi broker che agiscono sul mercato globale. Allo stesso tempo, abbiamo l’impressione di sapere tutto, e invece troppe cose della camorra ancora ci sfuggono. Perché tanta «violenza pervertizzata», come dicono gli psichiatri? Perché tanto primitivismo ostentatamente trascinato nella modernità? E perché fa affari ovunque, si internazionalizza, ma non abbandona mai i vicoli di Forcella, i «bassi» della Sanità e le case popolari di Rione Traiano?
In «Vite violente, psicoanalisi del crimine organizzato», un libro recente, Giovanni Starace fa rispondere a Giovanni Melillo, già pm antimafia a Napoli. «Dopo venti anni che mi occupo di questo – dice Melillo – l’idea che un certo grado di conflittualità sia messo in conto come tributo da versare all’azione repressiva dello Stato non mi pare così peregrina». Il riferimento è all’eterno ripetersi di faide tra i clan, e l’ipotesi è che tutto ciò possa addirittura rivelarsi come una sorta di infernale messinscena, alimentata dal «narcisismo ferito» dei boss locali per distogliere lo sguardo dagli affari planetari.
Luciano Brancaccio e Carolina Castellano la mettono così. Bisogna aggiornare l’idea di camorra, perché, dicono, ormai «narrazioni letterarie e narrazioni mitiche si contaminano con l’esperienza storica e si condizionano reciprocamente». I due ricercatori hanno curato una raccolta di saggi interdisciplinari titolata «Affari di camorra» (Donzelli editore) e ciò che suggeriscono è di evitare la trappola di concezioni cristallizzate. Fino agli anni 80 del secolo scorso, del resto, essere camorristi non era un reato. Era considerato un modo di vivere la cultura locale. Lo Stato puniva per una rapina o un omicidio, non per l’appartenenza a un potere strutturato. Mancava l’idea stessa di organizzazione criminale. Poi però l’idea è venuta e nel 1982, con l’approvazione dell’articolo 416 bis del codice penale, è iniziata la stagione dei grandi processi e dell’antimafia di massa, che è arrivata fino a Roberto Saviano e «Gomorra. La serie».
Lungo questa strada, spiegano Brancaccio e Castellano, «abbiamo assistito a un’eccessiva reificazione del concetto di gruppo mafioso, fino a dargli tratti di alterità e autonomia rispetto al contesto». Insomma, si è esagerato e semplificato nell’identificazione del nemico. Oggi, dicono gli autori dei saggi di «Affari di camorra» (Stefano Consiglio, Stefano D’Alfonso, Ernesto De Nito, Gabriella Gribaudi, Vittorio Martone, Giovanni Starace, Anna Maria Zaccaria) il contesto è cambiato. Cresce a dismisura l’area cosiddetta grigia, quella della contiguità. Oggi c’è il commerciante, non affiliato, che minaccia il concorrente fino ad accoltellarlo. C’è l’imprenditore che ha a che fare con più di 40 clan, e di fatto li «governa». E c’è l’avvocato dei boss, che si comporta da camorrista pur non essendo stato imbeccato, dicono i giudici, dai vertici dell’organizzazione. Il caso specifico è quello dell’avvocato condannato per aver minacciato Saviano e che Saviano, nella sua concezione «sistemica» non a caso si rifiuta di immaginare come soggetto «autonomo». «Siamo su confini mobili» avvertono Brancaccio e Castellano. Il che vuol dire che non siamo più in un romanzo o una serie tv, con i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. E se è così che evolvono le cose, dire no all’esercito, fosse solo per dare una mano alle forze di polizia, è un lusso che Napoli non può permettersi. E non solo Napoli, a dirla tutta.