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 2015  ottobre 17 Sabato calendario

L’ospedale San Camillo è quello più in rosso di tutti

Antonio D’Urso è il direttore generale dell’Ospedale San Camillo. Uno dei più grandi della Capitale. Ma anche quello con il bilancio più in rosso d’Italia: 158 milioni di passivo solo nel 2014. Un’azienda dove prima di lui si affidavano servizi senza gara e si assumeva personale con la pala. Ora si sta cercando di rimettere ordine ripristinando gare d’appalto e bloccando le assunzioni dove non servono. «Ma servono strumenti per la mobilità del personale e poi dipende da cosa la Regione ci da e da cosa ci chiede» mette le mani avanti il manager che sta raddrizzando i conti dell’ospedale più in rosso dello Stivale.
Perché il suo ospedale è il più in deficit d’Italia?
«Non voglio mettere le mani avanti ma io sono qui dal giugno dello scorso anno. Nel 2015 le anticipo che i conti migliorano. Ma certo non ho trovato una situazione facile: personale in eccesso assunto negli anni e che poi non puoi mica mandare via, forniture di beni e servizi che sono andati avanti di proroga in proroga senza espletamento di gare, un ospedale annesso, il Forlanini, che non svolgeva più attività ma continuava ad assorbire risorse».
E adesso?
«Grazie all’affidamento in gara abbiamo iniziato a ridurre i costi di forniture non sanitarie, come pulizie, mensa, riscaldamento. Ho chiuso il Forlanini liberando così alla Regione un patrimonio immobiliare. C’è un eccesso di personale amministrativo, quindi niente più assunzioni dove non serve. Rinforziamo gli organici solo dove c’è necessità, come pronto soccorso, servizi d’emergenza, anestesia. Certo se va via un medico al centro anti-fumo non lo sostituisco».
Basterà?
«Dipende anche da quello che la Regione ci da e da cosa ci chiede. Se ad esempio dobbiamo continuare ad essere centro di riferimento per le trasfusioni bisogna che sia finanziato il costo di un servizio che facciamo anche per altri ospedali. E poi se ho personale in eccesso devo poter contare su misure che consentano la mobilità degli esuberi».
Ma perché i privati convenzionati riescono a far tornare i conti pur essendo pagati a tariffa come voi?
«Perché loro possono selezionare i pazienti e noi no. Mi spiego. Le prestazioni sono pagate in base a quelli che tecnicamente si chiamano Drg, che non vengono più rivalutati da vent’anni. Molti di questi non sono assolutamente remunerativi. Ma noi siamo servizio pubblico e a chi ha bisogno di quegli interventi non possiamo mica dire di rivolgersi altrove. Qui facciamo trapianti di cuore, fegato, pancreas. E sa quanto costa solo un cuore artificiale? 100mila euro. Credo che il Drg non ne ripaghi nemmeno la metà».
Intanto il Governo vi dice che se in tre anni non rientrate dal deficit perdete il posto. Come la prende?
«Come una sfida da vincere. Purché ci mettano nelle condizioni di poterla affrontare».