17 ottobre 2015
L’Atac pagava un pennello anche 210 euro. Tutti i trucchi per non fare le gare o fingere di farle (spezzettamenti sotto i 40 mila euro, obbligo di risiedere nel Lazio, ecc.)
Francesco Grignetti sulla Stampa
Acquisto di 1 pennello, 210 euro (20 agosto 2011). Fornitura di 1 disco abrasivo, 160 euro (14 maggio 2012). Noleggio di 10 casotti prefabbricati da adibire a ufficio-cassa in diversi parcheggi di Roma, 34 mila euro (10 gennaio 2011). Targhetta adesiva, 185 euro (5 gennaio 2011). Acquisto di 1 caschetto antiurto, 335 euro (10 luglio 2012). Si potrebbe proseguire all’infinito. È l’ultimissimo scandalo all’ombra del Campidoglio: dal 2011 a oggi, la municipalizzata dei trasporti di Roma, l’Atac, ha speso 2,2 miliardi di euro per lavori, beni e servizi. Nel 90% dei casi - come contestato dall’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone - sono stati spesi senza gara. Ben 1,6 miliardi di euro, insomma, in questi cinque anni sono passati attraverso 20mila negoziazioni dirette. Ed è un dato anomalo.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) era stata coinvolta dall’ex assessore ai Trasporti, il senatore Stefano Esposito, Pd, che ora promette di portare il tutto all’attenzione della procura. «E registro l’assordante silenzio della politica romana, M5S compresi», dice Esposito. «Qualcuno risponderà di questo disastro. Chi lo ha perpetrato ai danni dei cittadini romani, ma anche chi non ha avuto la forza e il coraggio di intervenire. Il lavoro di bonifica non si ferma», gli fa eco Matteo Orfini, commissario Pd di Roma.
Dall’Atac provano a ribattere che se si guarda alle cifre e non alla miriade di acquisti piccoli e piccolissimi, nell’anno 2014 «le procedure con evidenza pubblica (aperta) ammontano a oltre il 90% dell’importo degli acquisti, mentre le procedure negoziate senza previa pubblicazione equivalgono al 7,3% dell’importo».
L’Atac riconosce però che l’andazzo era quello. Il cambio di rotta risalirebbe all’arrivo di Ignazio Marino in Campidoglio, nell’estate del 2013, che subito cambiò il vertice della municipalizzata. «All’atto dell’insediamento nel luglio 2013, - scrive l’Atac - l’attuale management aveva preso atto dell’esistenza di un elevato numero di contratti e/o affidamenti in proroga, con fortissime criticità gestionali, tali da incidere sulla stessa continuità dei servizi».
Ma è così? Davvero c’era un’Atac di Alemanno che bypassava le gare e un’Atac di Marino che ha riportato la normalità in azienda? L’Anticorruzione nella sua fredda analisi riporta che in effetti nel 2011 le forniture passavano per il 99,94% attraverso la procedura diretta (99,60% se si guarda agli importi); nel 2015 le forniture passano per l’84,27% ancora attraverso negoziazioni dirette (ma gli importi sono scesi al 3,26%).
Sembrerebbe la controprova di quello che l’Atac afferma. Però se si esaminano i servizi, nel 2011 erano appaltati per negoziazione diretta al 98,84% (69,7% degli importi) e nel 2015 sono ancora il 76,79% dei casi (32,91% dell’importo).
Dovrebbe risuonare più di un campanello d’allarme. Perché questo ricorso esasperato alle negoziazioni dirette, aggirando le gare d’asta? Perché, per dire, il 30 luglio 2012 sono stati spesi ben 11 milioni di euro sotto la dicitura «Regolazione di attività aggiuntive» collegate a una fornitura di tram? Il sospetto è d’obbligo. Non foss’altro perché la procura di Giuseppe Pignatone, per parte sua, sta terminando un’inchiesta sugli illeciti commessi da ex dirigenti dell’Atac tra 2007 e 2010: gli indagati si sarebbero appropriati di 2 milioni di euro attraverso falsi contratti di consulenza con società intestate a prestanome. E i soldi poi finivano su loro conti, per essere reinvestiti a San Marino. Primi patteggiamenti ci sono stati anche per il caso incredibile dei biglietti venduti attraverso un canale parallelo e occulto.
Daniele Autieri e Carlo Bonini su Repubblica
ROMA. Come è stato possibile che Atac, la municipalizzata per la mobilità di Roma, abbia affidato senza gara il 90 per cento dei 2 miliardi e 200 milioni di appalti chiusi tra il 2011 e il 2015? L’inchiesta dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) – che per altro si prepara a trasmettere i documenti e i dati raccolti alla Corte dei Conti e alla Procura, dove sta per essere chiusa l’indagine per peculato a carico di sette ex manager dell’Azienda, tra cui l’ex ad Gioacchino Gabbuti accusato di aver trasferito contanti a San Marino – precipita quel che resta della dirigenza dell’Azienda nel panico e costringe i suoi uffici a provare a mettere insieme una prima risposta pubblica. Che così viene argomentata in un lungo comunicato: «Il 23 settembre scorso, Atac ha chiaramente riferito all’azionista (il Comune di Roma e la Giunta Marino ndr.) i fatti salienti della gestione 2013-2015, informando che l’azienda effettua ogni anno circa 2.500 procedure di gara, oltre il 95% delle quali online, attraverso il ricorso alla piattaforma acquisti, con conseguente completa tracciabilità dei processi in ogni fase. Tale piattaforma assicura un alto livello di trasparenza ed economicità, allargando la platea dei fornitori e quindi incoraggiando la concorrenza». E ancora: «Tra luglio 2013 e agosto 2015 sono state pubblicate 5.327 gare per un valore pari a euro 536.042.000, con aggiudicazione ad un ribasso medio di circa il 26%. Inoltre emerge che il dato medio degli affidamenti diretti è minore dell’1%. Nello specifico delle forniture nell’anno 2014, le procedure con evidenza pubblica (aperta) ammontano a oltre il 90%».
Detto altrimenti, l’Anac avrebbe preso un colossale granchio, il Comune (leggi l’ex assessore ai trasporti Stefano Esposito) non può fingere di essere stato ingannato e dell’Azienda non c’è che da essere fieri. Peccato che una verifica con fonti qualificate di Anac documenti l’opposto. «I dati relativi al 90% di affidamenti diretti – spiega uno dei funzionari al lavoro sul dossier – sono né più e né meno che le informazioni che la stessa Atac ha inserito nella nostra banca dati. È Atac che ha indicato quali appalti sono stati chiusi con affidamento diretto e quali con gara. E il dato è che il 90% sono stati con procedura negoziata». E quel «95 per cento di “gare online”» allora? «La procedura telematica – prosegue la fonte – è uno strumento che non definisce l’iter. Atac definisce “gare” quelli che sono in realtà affidamenti diretti».
IL GIOCO DELLO SPEZZETTAMENTO
C’è di più. E per certi versi di peggio. Dai tabulati estrapolati da Anac che documentano il dettaglio di ciascun appalto affidato da Atac con procedura negoziata emerge il frequente “frazionamento” delle forniture o dei servizi sotto la soglia dei 40mila euro (oltre la quale scatta l’obbligo di gara). Il che dimostrerebbe la consapevolezza dell’Azienda di dover aggirare l’ostacolo della trasparenza con un trucco formale.
Come del resto, in almeno un’occasione, è stato documentato. Quando nell’aprile del 2014 gli ispettori del ministero dell’Economia scoprono che Atac svolge annualmente oltre 2.000 procedure al di sotto dei 40mila euro. E altre, sopra soglia, sempre con affidamento diretto. Tra queste, una valanga di consulenze, affidate soprattutto dal settore legale. Una procedura di cui beneficiano anche le più note società di consulenza: Kpmg ottiene due affidamenti diretti, uno da 132mila e l’altro da 121mila euro; Bain & Company ne prende almeno tre (due da 99mila e uno da 115mila euro); nel 2013 Banca Finnat ne ottiene addirittura uno da 710mila euro. Gli studi di avvocati non sono da meno. Tra il 2011 e il 2013 lo studio Leone supporta l’ufficio acquisti in modo sistematico: 151 consulenze in tre anni, dai 3 ai 40mila euro. Una prassi che negli ultimi due anni è stata dismessa.
IL GASOLIO SCALDATO
Tra i bandi più costosi c’è la fornitura di carburante per i mezzi. Un appalto da svariate decine di milioni di euro che solo poco tempo fa è stato riassegnato. Prima dell’ultima razionalizzazione, una commissione interna di Atac scoprì che prima dei rifornimenti il gasolio veniva scaldato. Serviva a far aumentare il volume del combustibile e permetteva al fornitore di addebitare all’azienda una quantità di gasolio maggiore di quella effettivamente rifornita.
LA STAMPA DEI BIGLIETTI
Né va meglio anche quando le gare vengono indette. È del 2012 il bando per la stampa dei biglietti. La commessa vale 8,9 milioni. La scoperta stupefacente, al momento della lettura del capitolato, è l’inserimento di una condizione ineludibile per l’aggiudicazione: l’azienda che stamperà i biglietti deve avere il suo stabilimento nella regione Lazio. E alla gara, di società “laziali”, ne partecipa una sola, che naturalmente vince. Sarà un ricorso al Tar dei concorrenti francesi che annullerà l’assegnazione.
LE PULIZIE D’ORO
Per non parlare dei servizi di pulizia di autobus e metropolitane per il periodo 2011-2014. Una commessa da 95 milioni. L’associazione di imprese che si aggiudica l’appalto vince con un ribasso minimo del 3% rispetto alla base d’asta. Peccato avesse vinto una gara identica per un’azienda del gruppo FS con un ribasso del 17%. Ma Atac è come il marchese del Grillo. Non chiede sconti. O paga o non paga.