Corriere della Sera, 17 ottobre 2015
Candice Renoir, un programma tv che ad Aldo Grasso è piaciuto
Mi ero accostato a «Candice Renoir» con aria di sufficienza, lo confesso. Mi ricordavo le parole di Carlo Fruttero a proposito di «Il comandante Florent», dove si narravano le vicissitudini di una brigata di gendarmi, capitanati da una donna: «Gli episodietti polizieschi sono quello che sono, un filo sopra la decenza, un pelo sotto la verosimiglianza. Boscaioli, piromani, assessori corrotti, notai infidi, torbidi camionisti, e rancori antichi, vendette, cupidigie, un po’ di corna, un po’ di caccia… e lei, le commandant, doverosamente spericolata, che si butta nei fiumi, scala dirupi, insegue a cavallo un omicida fuggiasco, affronta mitra, pistole, coltelli senza battere il vistoso ciglio».
Anche Candice Renoir (Cécile Bois), le commandant, guida quattro poliziotti che le sono, almeno all’inizio, molto ostili. Con qualche ragione. Candice è separata e mamma di quattro figli e, dopo dieci anni di aspettativa, deve rimettersi in gioco per acquisire credibilità e convincere i suoi subalterni (la chiamano «Barbie» per via dei capelli biondi).
Lavora nella squadra omicidi di Sète, città portuale a sud del Paese. A Fruttero, Florent piaceva perché sapeva accendere la nostalgia per la Douce France. A me, Candice piace perché ha una particolare attenzione per i dettagli (il diavolo si nasconde nei dettagli) e perché riesce sempre a trasformare le sue debolezze in mosse vincenti (Fox Crime, giovedì, 21).
Ovviamente, il primo grado di lettura riguarda la condizione della donna: per quanto brava, Candice è travolta dalla gestione della famiglia (due gemelli pestiferi, una ragazza in età adolescenziale…) e ostacolata da non pochi pregiudizi sul lavoro. Ma c’è anche una seconda lettura che corrobora la prima: la grazia della narrazione. Il racconto è senza pretese, secondo le strutture classiche del genere, ma ha una scrittura quasi démeublé, priva di orpelli, di abbondanza grossolana.
In Francia è in onda su Tf1 dal 2012.