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 2015  ottobre 17 Sabato calendario

La Marangoni di Milano, da ottant’anni scuola degli stilisti (ci ha studiato anche Domenico Dolce)

La cifra comune, nei primi piani che si rincorrono tra le pagine, è lo sguardo: «Calmo, non aggressivo... Di chi la sa lunga, ruba con gli occhi e impara», riflette Aldo Fallai, autore dei ritratti che accompagnano il libro «Fashion Culture. Istituto Marangoni: icona di moda e design» edito da Rizzoli. «Uno sguardo che, per calore e intensità – sottolinea Fallai – mi ricorda i dipinti di Antonello da Messina». Più del pathos, dell’inquietudine tipici degli anni di studio «matto e disperatissimo», da quei volti traspare un’olimpica serenità: «Di chi ha le spalle coperte non solo per la famiglia, ma per la scuola», osserva il fotografo. Celebra gli 80 anni di storia dell’istituto, fondato a Milano nel 1935 da Giulio Marangoni, il volume a cura di Cristina Morozzi, design director of Education della Design school: «La parte più interessante del progetto? Incontrare gli alunni – rivela Morozzi –. Raccogliere le loro idee, capire cosa vogliono diventare».
Il taglio corale affianca alle interviste gli interventi di voci del settore: dalla direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani alla fashion editor Suzy Menkes; dal fondatore di Diesel Renzo Rosso al presidente della Camera della Moda di Milano Carlo Capasa. Più che all’illustre passato (si sono formati alla Marangoni, tra gli altri, Domenico Dolce e Franco Moschino), «Fashion Culture» guarda al presente-futuro, raccontato non solo attraverso i numeri: cinque sedi (tra cui Parigi, Londra e Shanghai) e 3.500 studenti l’anno provenienti da 106 nazioni diverse. Attratti dal mix di rigore accademico e approccio manageriale, tradizione e cosmopolitismo. Ma a fare la differenza – come sottolinea l’ex allievo Alessandro Sartori, direttore creativo di Berluti – è anche la metodologia: «La scuola mi ha insegnato a tradurre il mio messaggio e a portarlo in passerella», dice. Se ad accomunare i ritratti è il piglio determinato, le parole lasciano spazio all’emozione. Il designer Maurizio Pecoraro, che abbandonò gli studi per lavorare con Gianni Versace, della scuola ricorda in particolare «la mia insegnante, la signora Braga. Mi è stata molto vicina in un momento complesso, quando ho lasciato la famiglia in Sicilia per venire a studiare a Milano. È stata molto più di una docente per me, quasi una madre».
«Innamorata della realtà e della moda italiane», nel 2011 Daizy Shely si trasferisce a Milano da Tel Aviv per frequentare la Marangoni. Due anni fa crea il suo brand, che a settembre ha aperto la sfilata promossa da Giorgio Armani per sostenere i giovani designer. La prossima sfida? «Mi piacerebbe entrare a far parte del calendario ufficiale della settimana della moda milanese – rivela Shely – e sfilare accanto ai grandi del settore». Duang Poshyanonda, caporedattrice di Harper’s Bazaar Thailand, ha sempre sognato di lavorare per una rivista di moda. Mentre frequentava il master in Fashion promotion and Communication, collaborava con Dsquared2 e Costume National. «Gli anni alla Marangoni sono stati i più felici della mia vita – racconta —. Ispirati e piena di energia». Cittadino del mondo, Umit Benan è, forse, il più internazionale tra gli ex alunni. Nato in Germania, è vissuto per 15 anni a Istanbul. «Ogni nuova collezione – spiega – somiglia a un vertice delle Nazioni Unite... Quando disegno, per me è normale fare riferimento a uno stile nomadico che mette insieme culture ed esperienze diverse».